16 agosto 2014

Ho le prove che Clara Anahí è viva: intervista con Chicha Mariani

Intervista con Chicha Mariani La Plata 12.8.2014 .............................. il manifesto 14.8.2014 ............................. Oggi, 12 agosto, è un giorno speciale. In questo giorno, 38 anni fa, nasceva una bambina a cui misero nome Clara Anahì. Tre mesi dopo, il 24 novembre 1976, fu rubata dai militari che avevano bombardato e distrutto la sua casa e ucciso sua madre Diana Teruggi e altri quattro compagni. Suo padre Daniel Mariani fu ammazzato sei mesi dopo. I suoi genitori erano montoneros e tenevano in casa la tipografia clandestina del movimento; la copertura era un allevamento di conigli. Clara Anahì nessuno l’ha più vista. Sua nonna Chicha Mariani ha novant’anni e continua a cercarla. E racconta. …………………………………………………………………………………………. Alla casa, da sola, ci sono stata solo una volta, che loro erano in viaggio e dovevo dare da mangiare e cambiare l’acqua ai conigli. Non so perché, mi prese un senso di terrore inspiegabile. Non sapevo della tipografia, ma tornai via portandomi dentro questa paura. Il giorno del mio compleanno vennero mio figlio, Diana e la bambina. Entrarono ridendo, dicevano che mi avevano fatto il regalo di compleanno. Avevano la machina piena fino al soffitto di biscotti. Dico, che ci faccio con tutti questi biscotti? Dice, non sono per te: sono per regalarli a tuo nome alla gente del quartiere. È questo il tuo regalo di compleanno. E lo fecero, li andarono a regalare in un quartiere operaio, in periferia. Era il 19 novembre. Il 24 successe tutto. Fu l’ultima volta che le ho viste. Era mercoledì, tenevo la bambina tutti i mercoledì e i sabati e avevo preparato il bagnetto, il mangiare; me la lasciavano tutta la sera, lei mi guardava con quegli occhi grandi… Mi ricordo che una volta ero arrivata a casa loro, lei piangeva e quando sentì la mia voce si mise a ridere contenta. ............................ Quel mercoledì 24 novembre, uscii di corsa da scuola, presi un taxi per arrivare a casa prima che Diana mi portasse la bambina. E non arrivava, non arrivava, e dopo un po’ comincio a sentire bombe e spari, bombe a spari, e avevo paura che Diana stesse in strada con la bambina e ci andasse di mezzo. Passata un’ora e non arrivava, disperata, vado da un’amica che abitava lì vicino. Vedevo gli elicotteri che girava e giravano, camion di soldati per la strada, la mia amica dice vengo con te, e tornammo qui aspettando, aspettando, aspettando. Continuavano gli spari, le bombe, i camion, e Diana non arrivava. Mi fa molto male raccontarlo. A me non mi uccisero perché mentre ero lì con la mia amica mi telefonò mia madre che mio padre s’era ammalato, e voleva che andassi da loro. Dico non posso, non posso, aspetto i ragazzi, non ho notizie… Mia madre insiste, e ci andai. Lasciai un biglietto sul camino – ragazzi, vado dai nonni, torno domani. La mattina dopo prendo l’autobus per tornare a casa. Non mi immaginavo che quella notte avevano attaccato anche casa mia. Trovai tutto distrutto, mi lasciarono senza niente. C’erano tutti i vicini ammassati davanti alla mia porta, pensavano che ero lì dentro morta. I soldati, avevano sparato, sfasciato, saccheggiato, si erano portati via pure il sacchetto di carbone per l’asado. Una rapina orribile, vergognosa. Un caos, avevano rovesciato tutte le bottiglie, l’olio, tutto versato sopra le carte, i vestiti, i mobili. L’unica cosa intatta era il seggiolone di Clara, la mia assicurazione sulla vita, e il nastro del Requiem di Verdi diretto da mio marito. ................................. Credevamo tutti che Clara Anahì era morta. Stavo dai miei genitori perché a casa mia non potevo stare, per la polvere, l’odore della polvere da sparo, che ancora adesso non lo sopporto. Piangevamo disperati, e venne una signora e ci disse non piangete, la bambina è viva, mia nonna ha visto che la portavano via. A noi avevano detto che era morta anche lei. “No, mia nonna l’ha vista, è viva”. Io quella donna non l’ho più vista, non ho mai saputo chi era. Poi avemmo altre prove che era viva. ........................................................................................ Pochi giorni dopo tornai a pulire la casa, a sistemarla, ero sola, riempivo scatoloni e scatoloni di roba rotta e sporca e li mettevo sul marciapiedi. E un giorno, ero ancora a casa quando passarono gli spazzini, e successe una cosa emozionante– sollevavano gli scatoloni con la nostra roba come se fossero stati qualcosa di sacro. Li vedevo da dietro le tendine della finestra, e mi commosse, in quel momento non so che cosa mi successe in quel momento, però dentro di me mi fece bene. Ne parlai poi con Edoardo Galeano, ne parla nel suo libro, Memorias del fuego. ......................................................... Pulivo e mettevo a posto, piangendo disperata, pensavo che li avevano uccisi tutti. Invece mio figlio quando successo tutto era Buenos Aires al lavoro. Entrò in clandestinità, non volle lasciare il paese. Ci incontrammo, con lui e mio marito, in campagna, un posto terribile, lo implorammo che se ne andasse, mio marito gli aveva già comprato una casa a Roma, perché se ne andassero lì. Lo implorò piangendo, in quel campo. “Ti prego, vai via”. “No, non me ne vado. Hanno ucciso Diana, non me ne posso andare, per i miei compagni non me ne posso andare, e devo aiutare a cercare Clara Anahì”. Così ci lasciammo, e lo uccisero il 1 agosto del ’77. Fu un’epoca terribile, io cercavo da sola, non mi immaginavo che ci fossero altri figli spariti. Sempre sola. Non lo dicevo neanche ai miei genitori. Andavo dappertutto, mi poteva succedere qualunque cosa. Mi ricevevano con disprezzo, sgarbati, mi lasciavano sulla porta, non mi facevano entrare. Ma all’ufficio minorenni una funzionaria mi disse che c’era un’altra donna che cercava sola. Feci un salto, corsi a cercarla, le dissi di lavorare insieme, perché in due ci avrebbero dato più ascolto. Disse, sì, però io conosco altre, che avevano le figlie incinte e non le trovano. Ci riunimmo con loro. ........................................................... Doveva venire Cyrus Vance, inviato di Jimmy Carter, a vedere che cosa succedeva in Argentina. Lo aspettammo in plaza San Martìn. Andai senza sapere niente, senza conoscere nessuno. Era pieno di soldati, militari, cani, da tutte le parti. Mi avevano detto che ciascuna avrebbe scritto la sua testimonianza e l’avrebbe consegnata a Cyrus Vance; io avevo preparato la mia, passa Cyrus Vance, circondato dai soldati, dai cani poliziotto, e le Madres tutte nello stesso momento si mettono il fazzoletto in testa e cominciano a gridare i nomi dei loro figli. Io restai pietrificata, e non glielo diedi. Venne una signora correndo, era Azucena, la madre di un desaparecido, dice gliel’hai data la tua testimonianza? No, non so come fare. Me lo strappò di mano, gli corse dietro e glielo consegnò. Poi seppi che l’avevano desaparecida un mese dopo. ....................................................... Restammo lì sul marciapiedi, e vennero le dieci Madres che erano rimaste, e sorridevano. Io ero tutta una lacrima, non capivo perché. Mi stavano accogliendo, come sempre hanno e abbiamo fatto, tutte con un sorriso, senza parlare ciascuna del suo dramma, se no non saremmo riuscite a lavorare. Quello fu il primo incontro delle Abuelas, il 21 novembre 1977. Ci organizzammo per vederci di nascosto, e la mia lotta diventò parte di quella di tutte. Mi fecero segretaria esecutiva. Per prima cosa scrivemmo al papa. La scrissi io perché ero l’unica che sapeva scrivere a macchina, con un dito. Il papa non ci rispose. Non ci rispose mai. Andammo a Roma, chiedemmo di essere ricevute e quelli vestiti di nero ci dissero che non riceveva, ma di andare tutte in piazza quando passava, con un cartello con scritto Nonne di Plaza de Mayo. E facemmo così. Ci fecero mettere dove passava il papa, emozionatissime, il papa polacco – era dello stesso paese di mio padre – insomma si avvicina il papa, saluta la gente che fa ala sul suo percorso, si avvicina uno di quelli vestiti di nero e gli dice qualcosa all’orecchio – noi stavamo lì, con lo striscione – il papa legge lo striscione, si volta dall'altra parte, ci passa davanti senza guardarci. Uno dei colpi più duri che mi ha dato la Chiesa, questo disprezzo, questo orrore. ............................................................ Ho le prove che Clara Anahì l’hanno portata via viva. L’ho cercata in tutto il mondo. Cercandola, abbiamo formato le Abuelas de Plaza de Mayo. E’ stato un lavoro di molti anni, di molto andare, di molta fatica. E la cerco ancora, Clara Anahì. Un giorno dopo l’altro.

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