15 settembre 2008

I Soprano e gli altri: Acoma 36

il manifesto 16.9.08

“L’idea di continuità in televisione”, ha detto David Lynch, “è formidabile… La televisione è un teleobiettivo, mentre il cinema è un grandangolo. Al cinema si può mettere in scena una sinfonia, mentre in televisione ci si deve limitare a un cigolio. Unico vantaggio: il cigolio può essere continuo”. Parte da questa citazione il saggio di Stefania Carini che apre, come chiave di lettura, lo speciale numero 36 di Acoma , la rivista internazionale di studi nordamericani, dedicato a I Soprano e gli altri. I serial televisivi americani in Italia, che va in libreria in questi giorni.
La frase di Lynch mi fa venire in mente un’altra descrizione delle differenze fra televisione e cinema, proposta anni fa da Beniamino Placido. Andare al cinema, diceva, è come andare a messa: esci di casa, ti rechi in un posto dedicato a quella funzione, nel tempo della durata non fai altro che seguire la cerimonia o il racconto, collocata più in alto, in uno spazio più illuminato del tuo, abitato da personaggi più grandi di te. Guardare la televisione invece è come dire il rosario: stai a casa tua, nella tua sedia o poltrona preferita, con la luce accesa, a guardare personaggi più piccoli di te e comunque chiusi in una scatola più piccola del tuo salotto … e ogni tanto ti interrompi per andare in cucina a girare il minestrone, o perché suona il telefono, o bussano alla porta… O il serial stesso si interrompe per lasciar spazio a un’altra narrazione seriale, ripetuta, altrettanto mitopoietica – la pubblicità.
La differenza, insomma, starebbe nella relazione che deriva da una diversa qualità del tempo e dello spazio: il tempo (e il tempio) speciale e della cerimonia, e il tempo ordinario e domestico quella quotidianità. La complessa forma del serial che questi saggi esplorano in profondità sarebbe allora connessa essenzialmente con una qualità dell’ascolto, sulla polarità fra ascolto continuo e dedicato e ascolto frammentato e disperso. E - come sanno bene quegli specialisti della serialità rivolta a un pubblico disattento che sono gli insegnanti - la ripetizione, l’iterazione cumulativa, diventa uno strumento essenziale per impadronirti dell’interesse e dell’immaginazione anche di chi ti ascolta con un orecchio solo o non vorrebbe ascoltarti affatto. La storia deve andare avanti osmoticamente, richiamandosi continuamente a se stessa. Di qui anche quelle analogie con l’epica orale che Cinzia Scarpino riprende nella sua introduzione (con la differenza che nell’oralità è il pubblico empirico che interviene direttamente sulla, spesso nella, performance; mentre il serial televisivo prende forma in relazione a un’audience ideale, che spesso contribuisce creare).
Come sappiamo, esiste in Italia una lunga storia di approfonditi studi critici della serialità, da Alberto Abruzzese a Paola Colaiacomo e altri ancora. I Soprano e gli altri aggiorna questa tradizione all’età della “Quality TV” (definita – per quel che è possibile – nel saggio di Stefania Carini), in cui il serial si fa sempre più complesso, autoconsapevole e ambizioso, fino a vette come i Soprano da un versante e I Simpson dall’altro (non a caso il volume si chiude con due saggi che li analizzano, rispettivamente di Cinzia Scarpino e Manuela Marziali). Ma soprattutto, il volume di Acoma guarda i serial americani e la loro ricezione in un tempo storico cambiato: quello dell’11 settembre.
In questo senso, è importante l’osservazione, che incontriamo nei saggi di Hamilton Carroll su 24 di Donatella Izzo su CSI, secondo cui l’ideologia emergenzialista, il sopravvento dell’emergenza sulla legalità, della sicurezza sui diritti erano già prefigurati in alcune di queste serie prima dell’11 settembre. Come nota ironicamente Izzo, in CSI un paese che non assicura i diritti sanitari ai cittadini vivi è disposto a prendersi cura di loro con tutti e mezzi e senza badare a spese, quando gli si presentano sotto forma di cadaveri – cittadini inerti, penetrabili, governabili, manipolabili dagli “esperti”. E’ come se gli Stati Uniti fossero arrivati a quella data già preparati alle risposte che ne ha dato l’establishment politico, da discorsi mediatici ripetuti che hanno dato forma alla sua immaginazione. Così, con agghiacciante leggerezza, Irene Allison accosta l’Edipo bellico di George W. Bush a quello di tutto un ambito di serial ospedalieri, compreso un cruciale episodio di Lost: si tratta sempre di guadagnarsi la stima del padre, di finire il lavoro del padre, di affermarsi come padre.
L’altro tema del volume, infatti, è il modo in cui i serial illuminano i cambiamenti che l’11 settembre ha apportato nella percezione dei ruoli di genere: nei saggi di Valeria Gennero, Anna Belladelli, Leonardo Buonomo, si mostra come i serial facciano i conti (assecondandola o criticandola) con un’America che risponde alla ferita dell’11 settembre ricostruendo una mistica della virilità e della protettiva saggezza paterna – un’America Marte contrapposta a un’Europa Venere anche nell’ultima puntata di Sex and the City.
Ovviamente, spesso ci fanno i conti in modo critico o almeno ironico. I Soprano incrinano quell’icona maschile che è da sempre il gangster; e Stefano Asperti mostra come ER rielabori la metafora militare dell’”emergenza” (o nella versione italiana, della “prima linea”), in termini di esplicita critica alla guerra irachena, alle sue motivazioni, ai suoi costi, alle sue menzogne. Come tutta la popular culture, insomma, i serial sono in primo luogo un terreno di conflitti, ideologici e morali: la condivisa ricerca formale ne accentua la contraddizione, e ne approfondisce, con la qualità delle storie e delle immagini, la portata per il nostro tempo.

4 Comments:

Blogger ReeBee said...

Ti ho linkato sul mio blog.
Non ne ho potuto fare a meno.

1:36 PM  
Blogger AnnalisaM. said...

Il tuo articolo sul Manifesto di ieri sul razzismo andrebbe letto in tutte le scuole, se fossi un professore delle superiori lo farei.
Cari saluti.
Annalisa Melandri

9:26 AM  
Blogger Pebble said...

I Soprano! Bellissimo serial, a mio parere.
Io ci ho scritto la tesi, sulla lingua dei Soprano e sullo stereotipo dell'Italiano come mafioso, negli USA.
E' stato davvero interessante.
Tra l'altro avrei dovuto conoscere Cinzia Scarpino, ma non siamo mai riuscite a trovarci.
Stefania

10:28 PM  
Blogger sale said...

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