Diario preelettorale americano
il manifesto - supplemento Break Point sulle elezioni USA
4.11.2008
Diario di un viaggio americano, da nord a sud, a due settimane dalle elezioni.
Martedi’, veniamo su da Youngstown, Ohio, capitale della deindustrializzazione, cantata da Bruce Springsteen, a un comizio di John Biden a Warren altra citta’ un tempo industriale. E’ mattina di giorno lavorativo, ma Siamo venuti su da Youngstown, capitale della deindustrializzazione, cantata da Bruce Springsteen ci sono un 1500 persone, in gran parte di estrazione sindacale. Spiccano le magliette gialle degli alimentaristi (con scritto “Sogno Americano per i lavoratori americani”), quelle viola delle Service and Electrical Industrial Union. Una buona presenza afroamericana, mescolata. Parlano il sindaco di Youngstown, il deputato locale Ryan, il segretario del sindacato minatori Trumka. Tutti affrontano questioni concrete che riguardano i lavoratori: salario minimo, assistenza sanitaria, i figli al college, diritti sindacali, i posti di lavoro persi per il patto di libero scambio col Messico e il Canada (Nafta). Qualcuno mi dice: come va il mondo dipende dagli Stati Uniti; come vanno gli Stati Uniti dipende dall’Ohio; e come va l’Ohio dipende dalle ex contee siderurgiche, Mahogin e Trumbull, Warren e Youngstown. Si sentono il centro del mondo, un centro ancora sorprendentemente sindacale e operaio.
John Biden fa un discorso aggressivo e coinvolgente. Parla delle sue origini familiari, del padre operaio licenziato e disoccupato; ricorda sarcasticamente che Bush e McCain avevano proposto di investire i fondi della sicurezza sociale sul mercato azionario; dice senza peli sulla lingua quello che tutti pensiamo di Sara Palin. Qui gli operai li chiamano “middle class” (ma gli scappa detto anche “working class”). E conclude: “una persona di classe media che vota McCain e’ come un pollo che vota per il colonnello Sanders”, quello del pollo fritto del Kentucky. Uscendo, una radio locale mi chiede che ne penso. Dico, tutto bello e giusto, pero’ chissà se anche i lavoratori messicani potranno mandare i figli al college.
Mercoledi’, Pittsburgh, Pennsylvania – altra ex capitale dell’acciaio. Congresso di storici orali, il voto per Obama e’ scontato. Ma una collega nera di Saint Louis dice, “se vince, vince per un pelo; in America ci sono troppi angoli oscuri.” Giovedi’ sera mi chiudo in camera a guardare il dibattito. Obama ha chiaramente ragione, anche se mi sembra meno chiaro di quanto fosse Biden a Warren. Biden parlava di salario minimo, Obama di ridurre le tasse a chi guadagna 200.000 dollari l’anno. L’ossessione sulle tasse deriva dall’idea originaria americana di liberta’ come mero attributo dell’individuo anziché prodotto di relazioni sociali - anzi, quasi l’opposto: la societa’ e’ un legame, la liberta’ consiste nel non averne. Così, se Obama parla di sanita’ pubblica, McCain propone di dare cinquemila dollari di buono a tutti per pagarsi ognuno l’assicurazione che gli pare, come gia’ si fa (e Obama è d’accordo) con la scuola. Lo slogan più radicale di Obama è “ridistribuire la ricchezza”; McCain la rigira (in perfetta malafede) dicendo a “Joe l’idraulico” che Obama vuole prendersi i suoi soldi e darli al governo per farli ridistribuire come dice lui. McCain a volte ha una faccia da pazzo, ma e’ aggressivo, parla le banalità che fanno effetto in TV e sembra avere quasi sempre l’ultima parola. Non sono contento di come e’ andata.
Venerdi’, mi fermo in un motel di Logan County – Appalachia profonda, infestata dai fantasmi di faide sanguinose, guerre civili fra operai ed esercito, antichi delitti. Sull’ascensore che mi porta al piano c’è scritto “ThyssenKrupp Elevators” – poi dice che uno e’ ossessionato. Sabato mattina attacco discorso con due camionisti. “Dopo il dibattito, alla cena dei famosi, McCain ha parlato bene di Obama. e Obama di McCain. Mi piace vedere che riescono a elevarsi oltre lo scontro personale”. Loro votano Obama. Gli pare piu’ affidabile; McCain non ha “people skills”, non ci sa fare con la gente. Come quasi tutti, ragionano sul carattere dei candidati;dei contenuti non si interessano – tanto, “siamo abituati ai politici che dicono tante cose e poi fanno il contrario, o solo quello che il Congresso gli permette di fare.” Dico, si parla sempre dei democratici reaganiani, i lavoratori bianchi che votano McCain… “A me Reagan piaceva, aveva quel bel sorriso…”. Del reaganismo proletario bianco gli rimane la convinzione che chi fa ricorso al welfare e’ un parassita che non ha voglia di lavorare. “Quando stavo in Texas mi hanno licenziato e non sapevo come mantenere la famiglia. Mi sono preso a pugni in faccia per una settimana prima di abbassare l’orgoglio e andare a chiedere il sussidio”. E la questione razziale? “Sul giornale di Louisville si è parlato di minacce, che se vince Obama ci saranno rivolte e violenze, ma non ci credo, sono cose del passato”. Confermano che spesso i picchetti che la gente si mette sul prato davanti a casa per fare campagna elettorale, quando erano a favore di Obama, sono stati strappati e deturpati.
Devio per Matewan – altro luogo di lotte, di faide e di stragi. Magari qualcuno lo sa dal film di John Sayles che ne porta il nome, un bel film che non dice neanche la meta’ di quello che e’ successo da queste parti. Matewan e’ ormai solo i binari dei treni interminabili, col lamento e il ritmo blues della sirena e delle ruote; e due strade, intitolate agli Hatfield e ai McCoy, le famiglie la cui faida e’ diventata una leggenda folklorica e svariati film hollywoodiani. Su un muro un cartello segnala due buchi lasciati dalle pistole il giorno del massacro con cui finisce il film (e con cui comincio’ tutto il resto). Davanti a un bed and breakfast inconro una coppia anziana. “McCain all the way”, dice la signora: “Io ero registrata come democratica e ero per Hillary Clinton, ma adesso mi sono informata e Obama non lo voto neanche per sogno”. E il marito: “Il popolo americano non e’ pronto per un presidente mussulmano”. A dirgli che non e’ vero non ci provo nemmeno. Sul prato davanti alla sede del sindacato minatori, l’unico cartello pro-Obama. Piu’ tardi, vengo a sapere che la National Public Radio ha fatto un servizio sulle elezioni a Logan County, e un ex minatore di 84 anni – dunque cresciuto in piena segregazione razziale – ha detto ad alta voce nell’accento di qui che lui votera’ per “’Bamer”. Forse con la crisi e l’impoverimento ceh si sentono addosso, la classe per quanto innominabile puo’ contare più del colore. Nel 2004, il West Virginia andò a Bush anche perché le compagnie più o meno costrinsero i minatori a votare per lui; adesso, Obama ha deciso di fare campagna elettorale anche qui, segno che non lo dà più per perso.
Faccio benzina a Pikeville, Kentucky. Un uomo giovane, barba fulva, occhi celesti, cappello a tese larghe, stereotipo vivente del proletario appalachiano, mi spiega: “Non c’e’ nessun rapporto fra il sistema politico e il popolo americano. Sno tutti corrotti. Da queste parti il popolo non ama i politici più di quanto ai vostri tempi storici il popolo romano non amasse Nerone”. Dico, quindi non voti? “Certo che voto: voto per Bob Barr, il candidato del Partito Libertario”. Il web del Libertarian Party, tradizionalmente espressione della destra bianca radicale, dichiara quasi un milione di contatti. La piattaforma e’ prevedibile: diritti individuali e nessun diritto o relazione sociale; governo minimo, protezione della proprietà senza se e senza ma, autodifesa armata, ambiguità sull’aborto. Chiedo, come vi mettete sulla razza? “Caro amico, ti ricordo che da queste parti un secolo e mezzo fa c’e’ stata una Guerra Civile. Il mio bisnonno ha combattuto con il Sud anche se noi non avevamo neanche mai visto uno schiavo, e non ce lo saremmo potuto permettere – una bocca in piu’ da sfamare, e neanche parente. La schiavitù non c’entrava: noi combattevamo per i diritti degli stati, e il Nord per salvare l’Unione. Vincevamo noi, perché avevamo soldati migliori, più convinti, finché i nordisti hanno tirato fuori la schiavitù, che va al cuore della gente …” Ma se vince Obama? “Vedremo che fa”. Non gli cavo una parola di più.
Sabato sera, Harlan, Kentucky. Dice Chester Napier, invalido per incidente di miniera: “stavolta non so proprio per chi votare. Non me la sento di votare per un presidente musulmano”. Sospetto che “musulmano” sia un codice per dire “nero”. Conosco Chester da piu’ di vent’anni, in casa sua ha ospitato amici afroamericani, sua figlia e’ stata sposata con un nero; ma gli ho anche sentito dire cose inquietanti. Forse per alcuni e’ piu’ facile superare le barriere razziali nel rapporto con persone concrete che non nell’astratto della politica. Comunque, per McCain non vota.
Domenica, un giro sul confine Kentucky-Virginia. A Harlan paese si vedono solo cartelli per McCain e Palin, sul retro dei pickup e affissi agli alberi. Ma verso il confine della contea, nelle ex citta’ minerarie di Benham e Lynch, che vantano combattive e solide comunità afroamericane e un’antica coscienza sindacale, compaiono anche cartelli per Obama. Passo Black Mountain, la montagna più alta dello stato, che la Arch Minerals voleva decapitare per estrarre il carbone a cielo aperto, ed e’ stata salvata dai ragazzini di Harlan che hanno fatto una catena umana attorno alla cima. Oltre il valico, il disastro: distese sterminate di deserto scavate dalle ruspe in mezzo a un fantastico paesaggio di morbide colline coperte da foreste di alberi di tutti i colori autunnali. Il giorno dopo, a Harlan, Carla Jo Barrett mi dice che sembra l’Irak dopo un bombardamento. La sera, in una chiesa pentecostale di Cranks Creek, un pianista scatenato (in chiese così e’ nato il rock and roll) guida un gospel che dice “Gesu’ e’ il mio dottore, mi scrive lui tutte le ricette”. Con una fede del genere, che bisogno c’e’ di servizio sanitario. O viceversa: senza servizio sanitario, ci vuole una fede del genere.
Anche Carla Jo è indecisa. Operatrice sociale, laureata, attivista ambientalista e antriviolenza, ha simpatia per Obama ma le piace anche Sara Palin. Carla e’ nipote della mitica Lois Scott – chi ha visto Harlan County USA di Barbara Kopple forse se la ricorda: e’ la donna che nel momento culminante dello sciopero dei minatori tira fuori dall’ampio reggiseno un’enorme pistola, e non c’e’ dubbio che sia pronta a usarla. Carla Jo identifica in Sara Palin la stessa tenacia e combattivita’ che fecero di sua zia una protagonista del movimento operaio (e magari lo stesso rapporto con le armi: questa e’ zona di fucili senza se e senza ma). “Certo,” dice, “mia zia era molto più progressista”. Ma ancora una volta, le idee politiche dei candidati contano meno del carattere e dell’immagine. Sara Palin tocca corde mitiche profonde della cultura di massa: si e’ accorto qualcuno di quanto ha in comune con Rossella O’Hara di Via col vento, modello della donna forte che non si ferma davanti a niente per raggiungere quello che vuole? Per fortuna Carla Jo si ricorda che zia Lois, per i suoi diciotto anni, le regalò l’iscrizione al partito democratico. “Se non riesco a decidermi, farò come ho sempre fatto: voterò per il candidato del mio partito”. Cioè Obama.
Mercoledì, congresso dell’American Folklore Society a Louisville, Kentucky. Una relatrice connette le storie su Obama (è musulmano, arabo, terrorista, antiamericano…) col filone delle leggende metropolitane e del “weblore”. Narrazioni mitiche e intercambiabili, impermeabili ai fatti. Parla Stetson Kennedy (92 anni: negli anni ’30 fondò la ricerca sul campo sulla cultura afroamericana, negli anni ’40 infiltrò e smascherò il KuKluxKlan, negli anni ’50 si candidò in Florida con una lista interrazziale e Woody Guthrie scrisse una canzone su di lui, recentemente incisa da Billy Bragg): “c’è un sacco di gente che vota a destra contro i propri interessi, ma non ce la dobbiamo avere con loro, sono brave persone travolte da uno tsunami di disinformazione”. Lo Herald Leader di Lexington, Kentucky (moderatamente pro Obama) scrive che la gente non prende più le informazioni dai giornali e dalla TV, ma da internet, dove impazzano incontrollate le voci piu’ assurde. E la scuola è in declino: il Louisville Courier Journal nota che la percentuale di ragazzi che arrivano al diploma diminuisce in tutti gli USA.
Però c’è un limite. Il voto anticipato vede la partecipazione di una quota di afroamericani molto più alta del solito. Gli scandali di Sara Palin (i vestiti e i viaggi a spese dei contribuenti e del partito) forse ne intaccano il mito. I sondaggi, per quel che vale, sono favorevoli. Io ho da sempre un test per i giornali: più facili sono le parole incrociate, più stanno a destra. Oggi quelle del Courier Journal sono praticamente inaccessibili.
4.11.2008
Diario di un viaggio americano, da nord a sud, a due settimane dalle elezioni.
Martedi’, veniamo su da Youngstown, Ohio, capitale della deindustrializzazione, cantata da Bruce Springsteen, a un comizio di John Biden a Warren altra citta’ un tempo industriale. E’ mattina di giorno lavorativo, ma Siamo venuti su da Youngstown, capitale della deindustrializzazione, cantata da Bruce Springsteen ci sono un 1500 persone, in gran parte di estrazione sindacale. Spiccano le magliette gialle degli alimentaristi (con scritto “Sogno Americano per i lavoratori americani”), quelle viola delle Service and Electrical Industrial Union. Una buona presenza afroamericana, mescolata. Parlano il sindaco di Youngstown, il deputato locale Ryan, il segretario del sindacato minatori Trumka. Tutti affrontano questioni concrete che riguardano i lavoratori: salario minimo, assistenza sanitaria, i figli al college, diritti sindacali, i posti di lavoro persi per il patto di libero scambio col Messico e il Canada (Nafta). Qualcuno mi dice: come va il mondo dipende dagli Stati Uniti; come vanno gli Stati Uniti dipende dall’Ohio; e come va l’Ohio dipende dalle ex contee siderurgiche, Mahogin e Trumbull, Warren e Youngstown. Si sentono il centro del mondo, un centro ancora sorprendentemente sindacale e operaio.
John Biden fa un discorso aggressivo e coinvolgente. Parla delle sue origini familiari, del padre operaio licenziato e disoccupato; ricorda sarcasticamente che Bush e McCain avevano proposto di investire i fondi della sicurezza sociale sul mercato azionario; dice senza peli sulla lingua quello che tutti pensiamo di Sara Palin. Qui gli operai li chiamano “middle class” (ma gli scappa detto anche “working class”). E conclude: “una persona di classe media che vota McCain e’ come un pollo che vota per il colonnello Sanders”, quello del pollo fritto del Kentucky. Uscendo, una radio locale mi chiede che ne penso. Dico, tutto bello e giusto, pero’ chissà se anche i lavoratori messicani potranno mandare i figli al college.
Mercoledi’, Pittsburgh, Pennsylvania – altra ex capitale dell’acciaio. Congresso di storici orali, il voto per Obama e’ scontato. Ma una collega nera di Saint Louis dice, “se vince, vince per un pelo; in America ci sono troppi angoli oscuri.” Giovedi’ sera mi chiudo in camera a guardare il dibattito. Obama ha chiaramente ragione, anche se mi sembra meno chiaro di quanto fosse Biden a Warren. Biden parlava di salario minimo, Obama di ridurre le tasse a chi guadagna 200.000 dollari l’anno. L’ossessione sulle tasse deriva dall’idea originaria americana di liberta’ come mero attributo dell’individuo anziché prodotto di relazioni sociali - anzi, quasi l’opposto: la societa’ e’ un legame, la liberta’ consiste nel non averne. Così, se Obama parla di sanita’ pubblica, McCain propone di dare cinquemila dollari di buono a tutti per pagarsi ognuno l’assicurazione che gli pare, come gia’ si fa (e Obama è d’accordo) con la scuola. Lo slogan più radicale di Obama è “ridistribuire la ricchezza”; McCain la rigira (in perfetta malafede) dicendo a “Joe l’idraulico” che Obama vuole prendersi i suoi soldi e darli al governo per farli ridistribuire come dice lui. McCain a volte ha una faccia da pazzo, ma e’ aggressivo, parla le banalità che fanno effetto in TV e sembra avere quasi sempre l’ultima parola. Non sono contento di come e’ andata.
Venerdi’, mi fermo in un motel di Logan County – Appalachia profonda, infestata dai fantasmi di faide sanguinose, guerre civili fra operai ed esercito, antichi delitti. Sull’ascensore che mi porta al piano c’è scritto “ThyssenKrupp Elevators” – poi dice che uno e’ ossessionato. Sabato mattina attacco discorso con due camionisti. “Dopo il dibattito, alla cena dei famosi, McCain ha parlato bene di Obama. e Obama di McCain. Mi piace vedere che riescono a elevarsi oltre lo scontro personale”. Loro votano Obama. Gli pare piu’ affidabile; McCain non ha “people skills”, non ci sa fare con la gente. Come quasi tutti, ragionano sul carattere dei candidati;dei contenuti non si interessano – tanto, “siamo abituati ai politici che dicono tante cose e poi fanno il contrario, o solo quello che il Congresso gli permette di fare.” Dico, si parla sempre dei democratici reaganiani, i lavoratori bianchi che votano McCain… “A me Reagan piaceva, aveva quel bel sorriso…”. Del reaganismo proletario bianco gli rimane la convinzione che chi fa ricorso al welfare e’ un parassita che non ha voglia di lavorare. “Quando stavo in Texas mi hanno licenziato e non sapevo come mantenere la famiglia. Mi sono preso a pugni in faccia per una settimana prima di abbassare l’orgoglio e andare a chiedere il sussidio”. E la questione razziale? “Sul giornale di Louisville si è parlato di minacce, che se vince Obama ci saranno rivolte e violenze, ma non ci credo, sono cose del passato”. Confermano che spesso i picchetti che la gente si mette sul prato davanti a casa per fare campagna elettorale, quando erano a favore di Obama, sono stati strappati e deturpati.
Devio per Matewan – altro luogo di lotte, di faide e di stragi. Magari qualcuno lo sa dal film di John Sayles che ne porta il nome, un bel film che non dice neanche la meta’ di quello che e’ successo da queste parti. Matewan e’ ormai solo i binari dei treni interminabili, col lamento e il ritmo blues della sirena e delle ruote; e due strade, intitolate agli Hatfield e ai McCoy, le famiglie la cui faida e’ diventata una leggenda folklorica e svariati film hollywoodiani. Su un muro un cartello segnala due buchi lasciati dalle pistole il giorno del massacro con cui finisce il film (e con cui comincio’ tutto il resto). Davanti a un bed and breakfast inconro una coppia anziana. “McCain all the way”, dice la signora: “Io ero registrata come democratica e ero per Hillary Clinton, ma adesso mi sono informata e Obama non lo voto neanche per sogno”. E il marito: “Il popolo americano non e’ pronto per un presidente mussulmano”. A dirgli che non e’ vero non ci provo nemmeno. Sul prato davanti alla sede del sindacato minatori, l’unico cartello pro-Obama. Piu’ tardi, vengo a sapere che la National Public Radio ha fatto un servizio sulle elezioni a Logan County, e un ex minatore di 84 anni – dunque cresciuto in piena segregazione razziale – ha detto ad alta voce nell’accento di qui che lui votera’ per “’Bamer”. Forse con la crisi e l’impoverimento ceh si sentono addosso, la classe per quanto innominabile puo’ contare più del colore. Nel 2004, il West Virginia andò a Bush anche perché le compagnie più o meno costrinsero i minatori a votare per lui; adesso, Obama ha deciso di fare campagna elettorale anche qui, segno che non lo dà più per perso.
Faccio benzina a Pikeville, Kentucky. Un uomo giovane, barba fulva, occhi celesti, cappello a tese larghe, stereotipo vivente del proletario appalachiano, mi spiega: “Non c’e’ nessun rapporto fra il sistema politico e il popolo americano. Sno tutti corrotti. Da queste parti il popolo non ama i politici più di quanto ai vostri tempi storici il popolo romano non amasse Nerone”. Dico, quindi non voti? “Certo che voto: voto per Bob Barr, il candidato del Partito Libertario”. Il web del Libertarian Party, tradizionalmente espressione della destra bianca radicale, dichiara quasi un milione di contatti. La piattaforma e’ prevedibile: diritti individuali e nessun diritto o relazione sociale; governo minimo, protezione della proprietà senza se e senza ma, autodifesa armata, ambiguità sull’aborto. Chiedo, come vi mettete sulla razza? “Caro amico, ti ricordo che da queste parti un secolo e mezzo fa c’e’ stata una Guerra Civile. Il mio bisnonno ha combattuto con il Sud anche se noi non avevamo neanche mai visto uno schiavo, e non ce lo saremmo potuto permettere – una bocca in piu’ da sfamare, e neanche parente. La schiavitù non c’entrava: noi combattevamo per i diritti degli stati, e il Nord per salvare l’Unione. Vincevamo noi, perché avevamo soldati migliori, più convinti, finché i nordisti hanno tirato fuori la schiavitù, che va al cuore della gente …” Ma se vince Obama? “Vedremo che fa”. Non gli cavo una parola di più.
Sabato sera, Harlan, Kentucky. Dice Chester Napier, invalido per incidente di miniera: “stavolta non so proprio per chi votare. Non me la sento di votare per un presidente musulmano”. Sospetto che “musulmano” sia un codice per dire “nero”. Conosco Chester da piu’ di vent’anni, in casa sua ha ospitato amici afroamericani, sua figlia e’ stata sposata con un nero; ma gli ho anche sentito dire cose inquietanti. Forse per alcuni e’ piu’ facile superare le barriere razziali nel rapporto con persone concrete che non nell’astratto della politica. Comunque, per McCain non vota.
Domenica, un giro sul confine Kentucky-Virginia. A Harlan paese si vedono solo cartelli per McCain e Palin, sul retro dei pickup e affissi agli alberi. Ma verso il confine della contea, nelle ex citta’ minerarie di Benham e Lynch, che vantano combattive e solide comunità afroamericane e un’antica coscienza sindacale, compaiono anche cartelli per Obama. Passo Black Mountain, la montagna più alta dello stato, che la Arch Minerals voleva decapitare per estrarre il carbone a cielo aperto, ed e’ stata salvata dai ragazzini di Harlan che hanno fatto una catena umana attorno alla cima. Oltre il valico, il disastro: distese sterminate di deserto scavate dalle ruspe in mezzo a un fantastico paesaggio di morbide colline coperte da foreste di alberi di tutti i colori autunnali. Il giorno dopo, a Harlan, Carla Jo Barrett mi dice che sembra l’Irak dopo un bombardamento. La sera, in una chiesa pentecostale di Cranks Creek, un pianista scatenato (in chiese così e’ nato il rock and roll) guida un gospel che dice “Gesu’ e’ il mio dottore, mi scrive lui tutte le ricette”. Con una fede del genere, che bisogno c’e’ di servizio sanitario. O viceversa: senza servizio sanitario, ci vuole una fede del genere.
Anche Carla Jo è indecisa. Operatrice sociale, laureata, attivista ambientalista e antriviolenza, ha simpatia per Obama ma le piace anche Sara Palin. Carla e’ nipote della mitica Lois Scott – chi ha visto Harlan County USA di Barbara Kopple forse se la ricorda: e’ la donna che nel momento culminante dello sciopero dei minatori tira fuori dall’ampio reggiseno un’enorme pistola, e non c’e’ dubbio che sia pronta a usarla. Carla Jo identifica in Sara Palin la stessa tenacia e combattivita’ che fecero di sua zia una protagonista del movimento operaio (e magari lo stesso rapporto con le armi: questa e’ zona di fucili senza se e senza ma). “Certo,” dice, “mia zia era molto più progressista”. Ma ancora una volta, le idee politiche dei candidati contano meno del carattere e dell’immagine. Sara Palin tocca corde mitiche profonde della cultura di massa: si e’ accorto qualcuno di quanto ha in comune con Rossella O’Hara di Via col vento, modello della donna forte che non si ferma davanti a niente per raggiungere quello che vuole? Per fortuna Carla Jo si ricorda che zia Lois, per i suoi diciotto anni, le regalò l’iscrizione al partito democratico. “Se non riesco a decidermi, farò come ho sempre fatto: voterò per il candidato del mio partito”. Cioè Obama.
Mercoledì, congresso dell’American Folklore Society a Louisville, Kentucky. Una relatrice connette le storie su Obama (è musulmano, arabo, terrorista, antiamericano…) col filone delle leggende metropolitane e del “weblore”. Narrazioni mitiche e intercambiabili, impermeabili ai fatti. Parla Stetson Kennedy (92 anni: negli anni ’30 fondò la ricerca sul campo sulla cultura afroamericana, negli anni ’40 infiltrò e smascherò il KuKluxKlan, negli anni ’50 si candidò in Florida con una lista interrazziale e Woody Guthrie scrisse una canzone su di lui, recentemente incisa da Billy Bragg): “c’è un sacco di gente che vota a destra contro i propri interessi, ma non ce la dobbiamo avere con loro, sono brave persone travolte da uno tsunami di disinformazione”. Lo Herald Leader di Lexington, Kentucky (moderatamente pro Obama) scrive che la gente non prende più le informazioni dai giornali e dalla TV, ma da internet, dove impazzano incontrollate le voci piu’ assurde. E la scuola è in declino: il Louisville Courier Journal nota che la percentuale di ragazzi che arrivano al diploma diminuisce in tutti gli USA.
Però c’è un limite. Il voto anticipato vede la partecipazione di una quota di afroamericani molto più alta del solito. Gli scandali di Sara Palin (i vestiti e i viaggi a spese dei contribuenti e del partito) forse ne intaccano il mito. I sondaggi, per quel che vale, sono favorevoli. Io ho da sempre un test per i giornali: più facili sono le parole incrociate, più stanno a destra. Oggi quelle del Courier Journal sono praticamente inaccessibili.
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