Una ricerca in Salento: Gianni Bosio, 1968
All’inizio di agosto del 1968, Gianni Bosio e Clara Longhini sono a Lecce. Sono in vacanza in Salento ma (come negli anni seguenti in Calabria, Sicilia e Sardegna) la vacanza è un viaggio di ricerca e di scoperta, con registratore, macchina da presa, diario di lavoro. Il mercato di Lecce, annota Clara Longhini, non ha niente di speciale. Persino le grida dei venditori sono assenti o deludenti. E allora, invece di spegnere il magnetofono, Bosio fa una cosa insolita: allarga il campo e registra il vocio, i rumori del traffico, il “paesaggio sonoro” della città.
Questo gesto sottolinea la trasformazione che Bosio immette nella ricerca sul campo: non solo i materiali codificati, le forme riconosciute (le grida dei venditori) ma un contesto ampio, di cui ancora non riconosciamo le forme (e che magari non ne ha) ma che cominciamo a documentare per poterci ragionare in futuro. Qualche anno prima, così era cominciata la ricerca in città: con il registratore a un angolo di strada a Milano, fissando il suono della metropoli.
E’ importante il luogo (un Salento ancora non di moda) ma anche il tempo: è il 1968, mentre mezzo mondo sta sulle barricate Gianni Bosio sta a Otranto, Martano, Calimera, Lecce, e registra cose apparentemente lontanissime che in realtà sono il sostrato profondo dei sommovimenti visibili. Poi (annota Clara Longhini), siccome è in vacanza, si sede sotto l’ombrellone con le gambe al sole e si scotta perché è troppo immerso nella lettura di un libro affascinante: il Capitale di Marx. La storia di quei 17 giorni è adesso un libro elegante e sorprendente 1968: una ricerca in Salento. Suoni grida canti rumori storie immagini, a cura di Luigi Chiriatti, Ivan Della Mea e Clara Longhini (Kurumuny, Calmiera- Lecce, 2007, 347 pagine e tre CD audio, solo 25 euro).
Naturalmente, Bosio e Longhini non raccolgono solo rumori e paesaggi sonori, ma anche molte storie e moltissima musica. Come già nelle precedenti registrazioni di Lomax e Carpitella, c’è solo un poco di pizzica (alla festa di San Rocco a Torrepaduli ascoltano “una movimentata tarantella napoletana, definita localmente pizzica”) e tantissimo altro, espressione di una cultura materiale, linguistica, musicale tutt’altro che unidimensionale e consumabile. Di questi nastri, io avevo sentito solo il lacerante lamento funebre di Angela Bello a Otranto. Adesso, mi affascina sentire – cantata dalla figlia di Angela che l’ha imparata dalla madre –una bella versione del “Testamento dell’avvelenato”, una ballata che circola dall’Italia (io l’ho sentita da immigrate calabresi in una borgata romana) alla Scozia agli Stati Uniti, da Angela Bello a Bob Dylan e Harry Belafonte. Ma il momento più alto è la completa registrazione del canto di passione grecanico, “I passiùna tu Cristù,” eseguita da cantori e suonatori che ritroveremo trent’anni dopo in uno splendido disco delle edizioni Aramirè (anche a questo servono le registrazioni: a vedere che cosa resta e che cosa cambia, nel canto e nei cantori, nel corso del tempo). Raramente una performance di tradizione orale ci è stata restituita con tanta accuratezza documentaria, degna erede dell’acribia filologica di Gianni Bosio: la registrazione sonora, che occupa un intero CD; l’analisi musicologia e la trascrizione musicale curate da Ignazio Macchiarella; e la trascrizione e traduzione del testo affiancate dalla riproduzione anastatica del manoscritto del cantore Salvatore Russo.
Al centro del libro stanno le fotografie di Clara Longhini (che insieme col diario danno la misura di quanto sia stato importante il suo contributo, spesso misconosciuto, all’intero progetto di ricerca del Nuovo Canzoniere Italiano e dell’Istituto Ernesto de Martino). Come le registrazioni a microfono aperto, anche le fotografie sono il risultato di uno sguardo ad ampio raggio: i visi e le posture dei cantori e dei narratori, ma anche le luci della festa, gli affreschi bizantini, le processioni, i vestiti, un asino bardato, i contesti del lavoro. Mentre Bosio registra i suoni dell’aratura – il canto, ma anche la campanella, gli incitamenti al cavallo, gli scricchiolii del carro e dell’aratro – Clara lo accompagna con una sequenza di immagini che ci aiuta a capire il senso dei suoni.
Proprio la registrazione di Martano induce Bosio a una serie di riflessioni raccolte nel saggio incompiuto che conclude il libro, sull’importanza della relazione fra performance, funzione e contesto. Sono annotazioni autocritiche rispetto alle precedenti esperienze del Nuovo Canzoniere e dei Dischi del Sole, ipotesi di nuovi approcci e progetti di nuovi lavori. Purtroppo, poco di tutto questo si poté realizzare. Un motivo ricorrente nel diario di Clara Longhini, infatti, sono i limiti che le ristrettezze finanziarie impongono a una ricerca condotta fuori degli schemi istituzionali e mercantili: lei che ha finito i rullini proprio mentre inizia la danza-scherma a Torrepaduli, Bosio che contravviene alla sua norma fondamentale e ogni tanto, per risparmiare costosissimo nastro, spegne il registratore. E’ un po’ una metafora della condizione di difficoltà che il movimento fondato da Bosio sperimentò in tutta la sua esistenza e che si veniva accentuando paradossalmente proprio i quegli anni di ripresa del movimento. Anche per questo, ci sono voluti quasi quarant’anni perché questi materiali vedessero la luce. Forse, se fossero usciti allora, tanti equivoci ce li saremmo risparmiati.
Nel 2005, Clara Longhini torna in Salento. Molte cose sono cambiate: “Non ci sono più animali nei campi. Buona cosa, certo, ma…”. Ma qualcosa si è perso. Nel suo diario, pubblicato qualche anno fa dalle edizioni Aramirè, Luigi Stiffani, il violinista delle tarantate, parlava della scomparsa di altri animali: adesso, diceva, il ragno che avvelenava le tarantate non c’è più, perché nei campi ci sono tanti veleni nuovi e anche quelle bestiole sono scomparse. Al dolore che si esprimeva nel tarantismo si sostituiscono veleni e sofferenze irriconoscibili perché spesso mascherati da progresso.
1968: una ricerca di Salento, di Gianno Bosio e Clara Longhini verrà presentato il 1 ottobre alle 17,30 al Circolo Gianni Bosio (via di Sant’Ambvrogio 4), con la partecipazione di Clara Londhini, Ivan Della Mea, Luigi Chiriatti, Alessandro Portelli. Con l’occasione sarà inaugurata una doppia mostra fotografica sui viaggi di ricerca in Salento, con foto di Clara Longhini (1968) e di Alan Lomax (anni ’50). Al termini della presentazione, un intervento musicale dei Malicanti.
Questo gesto sottolinea la trasformazione che Bosio immette nella ricerca sul campo: non solo i materiali codificati, le forme riconosciute (le grida dei venditori) ma un contesto ampio, di cui ancora non riconosciamo le forme (e che magari non ne ha) ma che cominciamo a documentare per poterci ragionare in futuro. Qualche anno prima, così era cominciata la ricerca in città: con il registratore a un angolo di strada a Milano, fissando il suono della metropoli.
E’ importante il luogo (un Salento ancora non di moda) ma anche il tempo: è il 1968, mentre mezzo mondo sta sulle barricate Gianni Bosio sta a Otranto, Martano, Calimera, Lecce, e registra cose apparentemente lontanissime che in realtà sono il sostrato profondo dei sommovimenti visibili. Poi (annota Clara Longhini), siccome è in vacanza, si sede sotto l’ombrellone con le gambe al sole e si scotta perché è troppo immerso nella lettura di un libro affascinante: il Capitale di Marx. La storia di quei 17 giorni è adesso un libro elegante e sorprendente 1968: una ricerca in Salento. Suoni grida canti rumori storie immagini, a cura di Luigi Chiriatti, Ivan Della Mea e Clara Longhini (Kurumuny, Calmiera- Lecce, 2007, 347 pagine e tre CD audio, solo 25 euro).
Naturalmente, Bosio e Longhini non raccolgono solo rumori e paesaggi sonori, ma anche molte storie e moltissima musica. Come già nelle precedenti registrazioni di Lomax e Carpitella, c’è solo un poco di pizzica (alla festa di San Rocco a Torrepaduli ascoltano “una movimentata tarantella napoletana, definita localmente pizzica”) e tantissimo altro, espressione di una cultura materiale, linguistica, musicale tutt’altro che unidimensionale e consumabile. Di questi nastri, io avevo sentito solo il lacerante lamento funebre di Angela Bello a Otranto. Adesso, mi affascina sentire – cantata dalla figlia di Angela che l’ha imparata dalla madre –una bella versione del “Testamento dell’avvelenato”, una ballata che circola dall’Italia (io l’ho sentita da immigrate calabresi in una borgata romana) alla Scozia agli Stati Uniti, da Angela Bello a Bob Dylan e Harry Belafonte. Ma il momento più alto è la completa registrazione del canto di passione grecanico, “I passiùna tu Cristù,” eseguita da cantori e suonatori che ritroveremo trent’anni dopo in uno splendido disco delle edizioni Aramirè (anche a questo servono le registrazioni: a vedere che cosa resta e che cosa cambia, nel canto e nei cantori, nel corso del tempo). Raramente una performance di tradizione orale ci è stata restituita con tanta accuratezza documentaria, degna erede dell’acribia filologica di Gianni Bosio: la registrazione sonora, che occupa un intero CD; l’analisi musicologia e la trascrizione musicale curate da Ignazio Macchiarella; e la trascrizione e traduzione del testo affiancate dalla riproduzione anastatica del manoscritto del cantore Salvatore Russo.
Al centro del libro stanno le fotografie di Clara Longhini (che insieme col diario danno la misura di quanto sia stato importante il suo contributo, spesso misconosciuto, all’intero progetto di ricerca del Nuovo Canzoniere Italiano e dell’Istituto Ernesto de Martino). Come le registrazioni a microfono aperto, anche le fotografie sono il risultato di uno sguardo ad ampio raggio: i visi e le posture dei cantori e dei narratori, ma anche le luci della festa, gli affreschi bizantini, le processioni, i vestiti, un asino bardato, i contesti del lavoro. Mentre Bosio registra i suoni dell’aratura – il canto, ma anche la campanella, gli incitamenti al cavallo, gli scricchiolii del carro e dell’aratro – Clara lo accompagna con una sequenza di immagini che ci aiuta a capire il senso dei suoni.
Proprio la registrazione di Martano induce Bosio a una serie di riflessioni raccolte nel saggio incompiuto che conclude il libro, sull’importanza della relazione fra performance, funzione e contesto. Sono annotazioni autocritiche rispetto alle precedenti esperienze del Nuovo Canzoniere e dei Dischi del Sole, ipotesi di nuovi approcci e progetti di nuovi lavori. Purtroppo, poco di tutto questo si poté realizzare. Un motivo ricorrente nel diario di Clara Longhini, infatti, sono i limiti che le ristrettezze finanziarie impongono a una ricerca condotta fuori degli schemi istituzionali e mercantili: lei che ha finito i rullini proprio mentre inizia la danza-scherma a Torrepaduli, Bosio che contravviene alla sua norma fondamentale e ogni tanto, per risparmiare costosissimo nastro, spegne il registratore. E’ un po’ una metafora della condizione di difficoltà che il movimento fondato da Bosio sperimentò in tutta la sua esistenza e che si veniva accentuando paradossalmente proprio i quegli anni di ripresa del movimento. Anche per questo, ci sono voluti quasi quarant’anni perché questi materiali vedessero la luce. Forse, se fossero usciti allora, tanti equivoci ce li saremmo risparmiati.
Nel 2005, Clara Longhini torna in Salento. Molte cose sono cambiate: “Non ci sono più animali nei campi. Buona cosa, certo, ma…”. Ma qualcosa si è perso. Nel suo diario, pubblicato qualche anno fa dalle edizioni Aramirè, Luigi Stiffani, il violinista delle tarantate, parlava della scomparsa di altri animali: adesso, diceva, il ragno che avvelenava le tarantate non c’è più, perché nei campi ci sono tanti veleni nuovi e anche quelle bestiole sono scomparse. Al dolore che si esprimeva nel tarantismo si sostituiscono veleni e sofferenze irriconoscibili perché spesso mascherati da progresso.
1968: una ricerca di Salento, di Gianno Bosio e Clara Longhini verrà presentato il 1 ottobre alle 17,30 al Circolo Gianni Bosio (via di Sant’Ambvrogio 4), con la partecipazione di Clara Londhini, Ivan Della Mea, Luigi Chiriatti, Alessandro Portelli. Con l’occasione sarà inaugurata una doppia mostra fotografica sui viaggi di ricerca in Salento, con foto di Clara Longhini (1968) e di Alan Lomax (anni ’50). Al termini della presentazione, un intervento musicale dei Malicanti.
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