Gli ultras percepiti
il manifesto 16.11.2007
Forse la chiave per leggere gli eventi di questi giorni l’ha data il geniale corsivo di qualche giorno fa di Alessandro Robecchi sul “giovane percepito.” A New York, la polizia ammazza con venti colpi di pistola un giovane nero: lui aveva in mano una spazzola, loro hanno percepito una pistola (e ricordate Amadou Diallo, aveva un portafoglio, hanno percepito un’arma e l’hanno ammazzato con 41 colpi). Percepisco nero, percepisco giovane, percepisco pericolo. E sparo. Chissà che cosa ha percepito l’agente della stradale a Badia al Pino vedendo partire la macchina col povero Gabriele Sandri: percepisco giovane, percepisco ultrà, e sparo (però prendiamo atto che i tentativi di depistaggio e copertura stavolta sono caduti, uno dopo l’altro). E quando le istituzioni percepiscono “terrorismo” e “assalto ai poteri dello Stato” nella disgraziata jacquerie di domenica sera, be’, il tragico e il ridicolo si alimentano fra loro. Chissà che percepirebbero davanti a un attentato terroristico vero.
Però: c’è anche una modalità speculare, che percepisce un rivoluzionario in chiunque per qualunque ragione tira un sasso a un poliziotto. C’è sasso e sasso, direi. Leggo sul manifesto che la cultura ultra fa paura perché è cultura di strada. Io vorrei intanto dire sommessamente che spesso alcuni suoi aspetti e alcuni suoi elementi fanno paura a me: per esempio, ho paura di aprire la bocca allo stadio per lamentarmi delle mostruosità razziste e xenofobe gridate tutto intorno a me; tanto che, per paura, finisco per andarci sempre meno. Ho paura di quei giovanotti che partivano da piazza Vescovio con mazze ferrate e bastoni, e che sono contigui, se non gli stessi, a quelli che da piazza Vescovio sono andati ad aggredire, ricordiamo?, il concerto di Villa Ada. E ho paura di quelli che, in nome del povero Gabriele Sandri, hanno riempito di svastiche Ponte Milvio e dintorni.
I “giovani percepiti” di cui parla Robecchi sono quelle figure immaginarie di “fancazzisti ubriachi potenziali serial killer drogati e maniaci sessuali” che nella vulgata paranoica prendono il posto di tutta una generazione. Non vorrei che noi facessimo lo stesso con il giovane percepito con sciarpa ultrà e sasso in mano facendone nel nostri immaginario il volto non solo di tutti i tifosi ma di una generazione intera.
Certo che esistono il disagio delle periferie (ma piazza Vescovio è un tranquillo quartiere di classe media. E Balduina?), la mancanza di luoghi di aggregazione, il deserto della politica. Però, da un lato, non tutti i ragazzi di periferia vanno allo stadio coi bastoni; dall’altro, vogliamo spiegare col disagio giovanile delle periferie anche i ragazzi che hanno provato a linciare i rumeni a Tor Bella Monaca (e la domenica dopo lo stadio gridava insulti al giocatore rumeno Mutu), o i tifosi della mia stessa squadra che anni fa massacrarono un africano (e lo stadio era pieno di volantini di sostegno)? Siamo in una città dove le aggressioni fasciste, proprio in periferia (mi arrivano e mail spaventate da Casalbertone), sono all’ordine del giorno; e vogliamo delegare a quegli ultras che sono egemonizzati dai fascisti, una legittimità rappresentativa di un’intera realtà sociale?
Perciò per favore, ragioniamo, e distinguiamo. Ha profondamente ragione Alessandro Del Lago quando dice che ai disastri da cui nascono gli ultras non si pone rimedio con i decreti, e tanto meno con le cavolate della tolleranza zero e del pugno duro. Però non credo che gli si ponga rimedio neanche con l’impunità, l’indulgenza e le strizzate d’occhio.
Forse la chiave per leggere gli eventi di questi giorni l’ha data il geniale corsivo di qualche giorno fa di Alessandro Robecchi sul “giovane percepito.” A New York, la polizia ammazza con venti colpi di pistola un giovane nero: lui aveva in mano una spazzola, loro hanno percepito una pistola (e ricordate Amadou Diallo, aveva un portafoglio, hanno percepito un’arma e l’hanno ammazzato con 41 colpi). Percepisco nero, percepisco giovane, percepisco pericolo. E sparo. Chissà che cosa ha percepito l’agente della stradale a Badia al Pino vedendo partire la macchina col povero Gabriele Sandri: percepisco giovane, percepisco ultrà, e sparo (però prendiamo atto che i tentativi di depistaggio e copertura stavolta sono caduti, uno dopo l’altro). E quando le istituzioni percepiscono “terrorismo” e “assalto ai poteri dello Stato” nella disgraziata jacquerie di domenica sera, be’, il tragico e il ridicolo si alimentano fra loro. Chissà che percepirebbero davanti a un attentato terroristico vero.
Però: c’è anche una modalità speculare, che percepisce un rivoluzionario in chiunque per qualunque ragione tira un sasso a un poliziotto. C’è sasso e sasso, direi. Leggo sul manifesto che la cultura ultra fa paura perché è cultura di strada. Io vorrei intanto dire sommessamente che spesso alcuni suoi aspetti e alcuni suoi elementi fanno paura a me: per esempio, ho paura di aprire la bocca allo stadio per lamentarmi delle mostruosità razziste e xenofobe gridate tutto intorno a me; tanto che, per paura, finisco per andarci sempre meno. Ho paura di quei giovanotti che partivano da piazza Vescovio con mazze ferrate e bastoni, e che sono contigui, se non gli stessi, a quelli che da piazza Vescovio sono andati ad aggredire, ricordiamo?, il concerto di Villa Ada. E ho paura di quelli che, in nome del povero Gabriele Sandri, hanno riempito di svastiche Ponte Milvio e dintorni.
I “giovani percepiti” di cui parla Robecchi sono quelle figure immaginarie di “fancazzisti ubriachi potenziali serial killer drogati e maniaci sessuali” che nella vulgata paranoica prendono il posto di tutta una generazione. Non vorrei che noi facessimo lo stesso con il giovane percepito con sciarpa ultrà e sasso in mano facendone nel nostri immaginario il volto non solo di tutti i tifosi ma di una generazione intera.
Certo che esistono il disagio delle periferie (ma piazza Vescovio è un tranquillo quartiere di classe media. E Balduina?), la mancanza di luoghi di aggregazione, il deserto della politica. Però, da un lato, non tutti i ragazzi di periferia vanno allo stadio coi bastoni; dall’altro, vogliamo spiegare col disagio giovanile delle periferie anche i ragazzi che hanno provato a linciare i rumeni a Tor Bella Monaca (e la domenica dopo lo stadio gridava insulti al giocatore rumeno Mutu), o i tifosi della mia stessa squadra che anni fa massacrarono un africano (e lo stadio era pieno di volantini di sostegno)? Siamo in una città dove le aggressioni fasciste, proprio in periferia (mi arrivano e mail spaventate da Casalbertone), sono all’ordine del giorno; e vogliamo delegare a quegli ultras che sono egemonizzati dai fascisti, una legittimità rappresentativa di un’intera realtà sociale?
Perciò per favore, ragioniamo, e distinguiamo. Ha profondamente ragione Alessandro Del Lago quando dice che ai disastri da cui nascono gli ultras non si pone rimedio con i decreti, e tanto meno con le cavolate della tolleranza zero e del pugno duro. Però non credo che gli si ponga rimedio neanche con l’impunità, l’indulgenza e le strizzate d’occhio.
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