Sulla miniera di Mountcoal
il msnifesto 9 aprile 2010
Mercoledì scorso il corrispondente da New York di Radio 24 apriva la sua rubrica con la notizia del disastro minerario nella miniera della Massey Energy a Mountc oal, West Virginia, in cui sono morti almeno 25 minatori. La cosa è molto encomiabile: basta pensare che gli ha dato la precedenza anche rispetto alle novità di Obama sulla limitazione delle armi nucleari. Ma era più problematico il commento, basato sul paradosso fra queste tragedie apparentemente arcaiche e la moderna, tecnologica America - come se l’idea stessa della miniera di carbone rinviasse automaticamente a un passato premoderno di pala e piccone.
Questa è una modalità tipica dei media italiani, che spettacolarizzano gli Stati Uniti come paese di estremi e di contrasti, grandi ricchezze e grandi povertà, estreme modernità e sorprendenti arretratezze. In realtà, l’industria mineraria è oggi un settore tecnologicamente avanzato, e la miniera di Mountcoal ne è un esmepio – con il suo continuous miner, la gigantesca macchina dentata rotante che scavando le gallerie strappa il carbone, lo mastica e lo risputa sulla cinghia di trasmissione, e con il suo intrico binari, cavi, fili elettrici, carrelli in movimento. Molte tragedie recenti sono proprio un esito specifico di questa modernità: il continuous miner genera una quantità inusitata di polvere che va a cementificare i polmoni dei minatori che, nella modernità tecnologica, crepano di pneumoconiosi più di prima, e per di più è altamente esplosiva (una delle violazioni della sicurezza rilevate a Mountcoal riguardava proprio il mancato controllo delle polveri).
Anche questo viene reso meno percepibile dalla spettacolarizzazione mediatica sull’eccezionalità di ciascuna singola tragedia (“la più grave dell’ultimo quarto di secolo”). Si tratta piuttosto di tragedie ordinarie, che si ripetono con modalità quasi invariate ogni anno. I “disastri” (definizione ufficiale: un incidente con almeno cinque vittime) fanno notizia, ma la stragrande maggioranza delle morti in miniera avviene al disotto di questo radar, per crolli (spesso provocati – come l’anno scorso in Utah – dall’avidità di estrarre fino all’ultimo grammo di carbone), cortocircuiti, investimenti da materiale mobile, eccetera. A parte le centinaia che muoiono a casa, in media tre al giorno, con i polmoni neri di carbone. La morte in miniera non è eccezionale, ma sistematica: un disastro di massa come questo non è un’eccezione, ma un’ accelerazione della regola.
Oggi volta che una miniera scoppia o crolla, il governo vara nuove norme di sicurezza; e dopo ogni disastro leggiamo che l’azienda era stata beccata centinaia di volte in violazione. A questo punto, la responsabilità si allarga alle istituzioni: che conclusioni dovrebbero trarre gli organi di sorveglianza davanti a una violazione così sistematica delle leggi? qual ‘è il costo di queste ammende (conviene pagare e andare avanti, e magari come in tantissimi casi, compreso Mountcoal, non pagare per niente)?; o le ispezioni servono solo ai burocrati per dire “noi l’avevamo detto” , e lavarsene le mani? Varare leggi e non applicarle è o no una forma di complicità?
Alcuni giornali hanno riportato il cinico memorandum del padrone di Mountcoal, Don Blankenship: “ogni volta che vi si chiede di fare lavori diversi dall’estrarre carbone (cioè: lavoro per mettere in sicurezza la miniera) ignorateli. Ricordatevi che è il carbone che paga i conti”. Don Blankenshipo non è un qualsiasi avido padrone: è una vera e propria piovra che tiene in tasca tutte le istituzioni e i politici del West Virginia, e a nessuna istituzione salterà in mente di interferire con i suoi affari. La sua compagnia, la Massey è riuscita a sbarazzarsi del sindacato, con ogni genere di pratiche – sparando addosso ai minatori durante lo sciopero del 1984-85, e ricorrendo a ricatti, mance, pressioni e mobbing per indurre proprio i lavoratori di Montocoal a rinunciare alla tutela sindacale. Un libro appena uscito - Coal River di Michael Shnayerson – ha un capitolo intero dedicato proprio alle pratiche antisindacali alla miniera di Montcoal. Non è una questione locale e marginale: la scomparsa del sindacato ha determinato lo spostamento del West Virginia dal campo democratico a quello repubblicano, che fu decisivo nella prima elezione di George Bush – che ringraziò mettendo un lobbyista dell’industria del carbone alla guida dell’ente di sorveglianza sulla sicurezza in miniera.
Comunque, anche se ci fosse stato il sindacato non è che avrebbe interferito più di tanto: preoccupata dei posti di lavoro dei suoi iscritti (il West Virginia ha perso seicentomila posti di lavoro in miniera dal 1960, su una popolazione di meno di due milioni) e delle quote che versano alle casse sindacali, la UMW ha sempre sostenuto gli interessi e i profitti dell’industria mineraria anche a scapito della sicurezza (quando un’esplosione uccise 79 minatori a Fairmont , West Virginia, nel 1969, il presidente del sindacato elogiò la compagnia e disse che sì, certe cose c’è da aspettarsele, lavorare in miniera è pericoloso).
La subalternità del sindacato investe un altro aspetto della politica energetica e ambientale: il mountaiontop removal, l’estrazione del carbone non scavando gallerie ma facendo saltare le cime delle montagne fino a lasciare allo scoperto la vena, rovesciando il terriccio inquinato nelle valli e nei fiumi. In questga pratica, Blankenship e la Massey sono all’avanguardia, tanto che proprio Blankenship ha sostenuto sull’argomento un dibattito con Robert Kennedy, Jr. all’università del West Virginia, affermando che il mountain top removal è fondamentale per l’occupazione e per l’ indipendenza energetica degli Stati Uniti. I movimenti ambientalisti e la popolazione locale hanno messo in rilievo i danni spaventosi di questa pratica: il danno climatico, la distruzione ambientale (nel 2000, da un’altra miniera della Massey di Blankenship, fuoruscirono 1,16 bilioni di fanghiglia velenosa, trenta volte di più dal disastro petrolifero della Exxon Valdez, che avvelenò terra e fiumi per mezzo Sudest degli Stati Uniti), i pericoli per la popolazione circostante, il fatto che il mountai top removal occupa molto meno forza lavoro delle miniere tradizionali. Ma il sindacato – abbagliato dall’elemosina di pochi posti di lavoro – appoggia le pretese di Blankenship, compresa quella di spianare la storica Blair Mountain, luogo della battaglia campale del 1922 dove nel corso di una battaglia campale fra minatori ed eserciti privati delle compagnie intervenne a bombardare gli scioperanti addirittura l’aeronautica militare degli Stati Uniti.
Il disastro di Mountcoal non migliorerà l’immagine della Massey – ma non è detto che ne metta in discussione il potere. Don Blankenship è perfettamente capace di dire che la tragedia in galleria dimostra che il mountain top removal è meno pericoloso (per chi ci lavora, non certo per chi ci vive intorno), e servirsene per accelerare le concessioni che va chiedendo su tutto il territorio dello stato. Segno che per certi poteri non tutti i mali vengono per nuocere.
Mercoledì scorso il corrispondente da New York di Radio 24 apriva la sua rubrica con la notizia del disastro minerario nella miniera della Massey Energy a Mountc oal, West Virginia, in cui sono morti almeno 25 minatori. La cosa è molto encomiabile: basta pensare che gli ha dato la precedenza anche rispetto alle novità di Obama sulla limitazione delle armi nucleari. Ma era più problematico il commento, basato sul paradosso fra queste tragedie apparentemente arcaiche e la moderna, tecnologica America - come se l’idea stessa della miniera di carbone rinviasse automaticamente a un passato premoderno di pala e piccone.
Questa è una modalità tipica dei media italiani, che spettacolarizzano gli Stati Uniti come paese di estremi e di contrasti, grandi ricchezze e grandi povertà, estreme modernità e sorprendenti arretratezze. In realtà, l’industria mineraria è oggi un settore tecnologicamente avanzato, e la miniera di Mountcoal ne è un esmepio – con il suo continuous miner, la gigantesca macchina dentata rotante che scavando le gallerie strappa il carbone, lo mastica e lo risputa sulla cinghia di trasmissione, e con il suo intrico binari, cavi, fili elettrici, carrelli in movimento. Molte tragedie recenti sono proprio un esito specifico di questa modernità: il continuous miner genera una quantità inusitata di polvere che va a cementificare i polmoni dei minatori che, nella modernità tecnologica, crepano di pneumoconiosi più di prima, e per di più è altamente esplosiva (una delle violazioni della sicurezza rilevate a Mountcoal riguardava proprio il mancato controllo delle polveri).
Anche questo viene reso meno percepibile dalla spettacolarizzazione mediatica sull’eccezionalità di ciascuna singola tragedia (“la più grave dell’ultimo quarto di secolo”). Si tratta piuttosto di tragedie ordinarie, che si ripetono con modalità quasi invariate ogni anno. I “disastri” (definizione ufficiale: un incidente con almeno cinque vittime) fanno notizia, ma la stragrande maggioranza delle morti in miniera avviene al disotto di questo radar, per crolli (spesso provocati – come l’anno scorso in Utah – dall’avidità di estrarre fino all’ultimo grammo di carbone), cortocircuiti, investimenti da materiale mobile, eccetera. A parte le centinaia che muoiono a casa, in media tre al giorno, con i polmoni neri di carbone. La morte in miniera non è eccezionale, ma sistematica: un disastro di massa come questo non è un’eccezione, ma un’ accelerazione della regola.
Oggi volta che una miniera scoppia o crolla, il governo vara nuove norme di sicurezza; e dopo ogni disastro leggiamo che l’azienda era stata beccata centinaia di volte in violazione. A questo punto, la responsabilità si allarga alle istituzioni: che conclusioni dovrebbero trarre gli organi di sorveglianza davanti a una violazione così sistematica delle leggi? qual ‘è il costo di queste ammende (conviene pagare e andare avanti, e magari come in tantissimi casi, compreso Mountcoal, non pagare per niente)?; o le ispezioni servono solo ai burocrati per dire “noi l’avevamo detto” , e lavarsene le mani? Varare leggi e non applicarle è o no una forma di complicità?
Alcuni giornali hanno riportato il cinico memorandum del padrone di Mountcoal, Don Blankenship: “ogni volta che vi si chiede di fare lavori diversi dall’estrarre carbone (cioè: lavoro per mettere in sicurezza la miniera) ignorateli. Ricordatevi che è il carbone che paga i conti”. Don Blankenshipo non è un qualsiasi avido padrone: è una vera e propria piovra che tiene in tasca tutte le istituzioni e i politici del West Virginia, e a nessuna istituzione salterà in mente di interferire con i suoi affari. La sua compagnia, la Massey è riuscita a sbarazzarsi del sindacato, con ogni genere di pratiche – sparando addosso ai minatori durante lo sciopero del 1984-85, e ricorrendo a ricatti, mance, pressioni e mobbing per indurre proprio i lavoratori di Montocoal a rinunciare alla tutela sindacale. Un libro appena uscito - Coal River di Michael Shnayerson – ha un capitolo intero dedicato proprio alle pratiche antisindacali alla miniera di Montcoal. Non è una questione locale e marginale: la scomparsa del sindacato ha determinato lo spostamento del West Virginia dal campo democratico a quello repubblicano, che fu decisivo nella prima elezione di George Bush – che ringraziò mettendo un lobbyista dell’industria del carbone alla guida dell’ente di sorveglianza sulla sicurezza in miniera.
Comunque, anche se ci fosse stato il sindacato non è che avrebbe interferito più di tanto: preoccupata dei posti di lavoro dei suoi iscritti (il West Virginia ha perso seicentomila posti di lavoro in miniera dal 1960, su una popolazione di meno di due milioni) e delle quote che versano alle casse sindacali, la UMW ha sempre sostenuto gli interessi e i profitti dell’industria mineraria anche a scapito della sicurezza (quando un’esplosione uccise 79 minatori a Fairmont , West Virginia, nel 1969, il presidente del sindacato elogiò la compagnia e disse che sì, certe cose c’è da aspettarsele, lavorare in miniera è pericoloso).
La subalternità del sindacato investe un altro aspetto della politica energetica e ambientale: il mountaiontop removal, l’estrazione del carbone non scavando gallerie ma facendo saltare le cime delle montagne fino a lasciare allo scoperto la vena, rovesciando il terriccio inquinato nelle valli e nei fiumi. In questga pratica, Blankenship e la Massey sono all’avanguardia, tanto che proprio Blankenship ha sostenuto sull’argomento un dibattito con Robert Kennedy, Jr. all’università del West Virginia, affermando che il mountain top removal è fondamentale per l’occupazione e per l’ indipendenza energetica degli Stati Uniti. I movimenti ambientalisti e la popolazione locale hanno messo in rilievo i danni spaventosi di questa pratica: il danno climatico, la distruzione ambientale (nel 2000, da un’altra miniera della Massey di Blankenship, fuoruscirono 1,16 bilioni di fanghiglia velenosa, trenta volte di più dal disastro petrolifero della Exxon Valdez, che avvelenò terra e fiumi per mezzo Sudest degli Stati Uniti), i pericoli per la popolazione circostante, il fatto che il mountai top removal occupa molto meno forza lavoro delle miniere tradizionali. Ma il sindacato – abbagliato dall’elemosina di pochi posti di lavoro – appoggia le pretese di Blankenship, compresa quella di spianare la storica Blair Mountain, luogo della battaglia campale del 1922 dove nel corso di una battaglia campale fra minatori ed eserciti privati delle compagnie intervenne a bombardare gli scioperanti addirittura l’aeronautica militare degli Stati Uniti.
Il disastro di Mountcoal non migliorerà l’immagine della Massey – ma non è detto che ne metta in discussione il potere. Don Blankenship è perfettamente capace di dire che la tragedia in galleria dimostra che il mountain top removal è meno pericoloso (per chi ci lavora, non certo per chi ci vive intorno), e servirsene per accelerare le concessioni che va chiedendo su tutto il territorio dello stato. Segno che per certi poteri non tutti i mali vengono per nuocere.
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