Howard Zinn, il prof che insegnava anche come fare un picchetto
da Liberazione del 29.1.2010 - intervista a cura di Tonino Bucci
Howard Zinn, il prof che insegnava anche come fare un picchetto
Howard Zinn era un punto di riferimento della sinistra radicale statunitense. Un attivista politico, una voce più che critica verso l'istituzione accademica. E, ancora, un esponente del movimento pacifista, fin dalla guerra del Vietnam. Ora che è scomparso a 87 anni, a Santa Monica, in California, a causa di un infarto, restano i suoi libri, i suoi saggi innovativi sul lato della storiografia americana.
Soprattutto l'opera che lo ha reso più celebre, Una storia del popolo americano , scritta non dal punto di vista delle élites e dei governi, ma da quello dei nativi, degli schiavi di colore, delle vittime di genocidi e discriminazioni razziali.
Ricordiamo pure - prima di lasciare la parola ad Alessandro Portelli, docente universitario di letteratura americana alla Sapienza di Roma - gli altri titoli di Zinn: Non in nostro nome , Disobbedienza e Democrazia. Lo spirito della ribellione e Marx a Soho. Un monologo sulla storia .
Howard Zinn lo ricordiamo soprattutto come lo storico che ha riscritto la storia americana dal punto di vista degli sconfitti, dei nativi e degli schiavi di colore. Possiamo etichettarlo come l'inventore della storiografia dal basso?
Faceva parte di un clima e di una tradizione. Se uno pensa a storici come Eric Foner esisteva già una storiografia alternativa che termina con Howard Zinn. Non è tanto che lui inventi la storia dal basso, quanto che lui ci si accosti con gli strumenti più sofisticati, più articolati e con una passione straordinari. E' impossibile separare lo studioso dall'attivista. E' uno di quei casi il rigore della ricerca si accompagna a uno schieramento politico e di classe. Ma il suo discorso non diventa mai un discorso di pura propaganda.
Siamo poco abituati oggi a questo tipo di intellettuale. Esiste un cliché secondo cui l'intellettuale fa politica è poco serio nel rigore dei suoi studi. Non è così?
Pensiamo che va in cattedra neanche vent'anni dopo essersi iscritto all'università. Negli anni Cinquanta scrive una serie di libri di storiografia delle élites, di storiografia politica classica. Aveva una formazione rigorosa. Il punto è che Howard Zinn non scriveva per l'accademia. Il suo linguaggio, il suo modo di rivolgersi al lettore è completamente diverso da quello di una storiografia autoreferenziale. Se uno crede che il rigore consista nel numero di note a margine, allora non capito niente. Quella di Howard Zinn era una scrittura piana, comprensibile e nitida ma sorretta da un sapere totale.
Si trovò molte volte in contrasto con l'istituzione accademica. Da qualche parte denunciò anche i contratti che legano alcune università con il Dipartimento della difesa per sovvenzionare la ricerca in campi di interesse militare. O no?
Come no. Si è scontrato con la commissione dell'università di Boston. E' stato messo più volte sotto processo. Di nuovo, è un esempio di docente che intende l'insegnamento come una missione di formazione democratica e non come fabbricazione di nuova carne da mandare al mercato del lavoro. Ha sempre avuto molto chiaro che le sue lezioni servivano a creare cittadini critici e consapevoli e non dei piccoli professorini in erba o falliti. Per farcene un'idea pensiamo che nella sua ultima lezione concluse mezz'ora prima per andare a fare un picchetto. E si portava dietro gli studenti. Il picchetto è parte della lezione. Come fai a insegnare storia del movimento operaio o storia della democrazia o storia dei diritti sociali a gente che non ha mai visto o fatto un picchetto? Un'esperienza didattica oltre che politica.
Dalla guerra del Vietnam fino al conflitto iracheno è stato sempre un mobilitatore del movimento pacifista nelle università. Incontri, conferenze, discussioni con gli studenti, manifestazioni... E riusciva ad aggregare consensi, vero?
E' stato in Vietnam con Daniel Berrigan perché il governo del Vietnam del nord lo riconobbe come interlocutore a cui consegnare dei prigionieri che stavano rilasciando. Il governo vietnamita non li consegnò al governo Usa bensì, appunto, a Zinn e Berrigan che erano esponenti del movimento per la pace. Basta pensare come lui dienta il direttore del dipartimento di storia di un'università nera, in Georgia. Una scrittrice importante come Alice Walker lo ricorda come il più grande insegnante che abbia mai avuto. La sua adesione al movimento per i diritti civili non era un'adesione a parole, ma significava mettersi in gioco ed essere presente là dove si formano le radici del movimento.
Mai indulgente verso le mode. Le sue analisi erano sempre molto schiette. Negli ultimi tempi, ad esempio, non si lasciò mai trascinare nell'entusiasmo facile per Obama. Ne parlava come di un politico dei compromessi che non avrebbe mai cambiato veramente le cose, né nella guerra afghana né in politica economico-sociale. Farà solo «metà del male peggiore che gli verrà richiesto», disse. Esagerava?
Io ricordo un'altra sua dichiarazione durante le primarie. Guardate - disse - io cinque minuti per andare a votare per Obama ce li perdo pure, ma non è questo il gesto più importante che possiamo compiere. I gesti poitici importanti sono quelli che compiamo nel nostro agire sociale, nelle strade e nei movimenti. Certo, non cadeva nella trappola di un qualunquismo astensionista, però ci ricordava una cosa che stiamo dimenticando anche qui da noi. Che la politica non è che si faccia solo nelle elezioni o nelle istituzioni e che esiste una società nella quale siamo chiamati ad agire.
Non c'è un cambiamento diretto dall'alto, cioè dall'establishment?
I limiti attuali della politica di Obama hanno a che fare col fatto che quelli che l'hanno eletto stanno lì fermi ad aspettare quello che fa, invece di mobilitarsi.
Era intervenuto anche nella questione dei rapporti tra Usa e Cuba. Partecipava alla campagna di liberazione dei cinque cubani ancora nelle prigioni americane...
Non mi stupisce. Una politica pacifista è anche una politica antimperialista. Era in dialogo con le realtà sociali dell'America Latina.
Lascia dietro di sé una scuola di studiosi attivisti?
Non ha mai pensato di fare lo studioso individuale in una torre d'avorio. Ha sempre pensato che la professione storiografica dovesse organizzarsi anche politicamente.
Howard Zinn, il prof che insegnava anche come fare un picchetto
Howard Zinn era un punto di riferimento della sinistra radicale statunitense. Un attivista politico, una voce più che critica verso l'istituzione accademica. E, ancora, un esponente del movimento pacifista, fin dalla guerra del Vietnam. Ora che è scomparso a 87 anni, a Santa Monica, in California, a causa di un infarto, restano i suoi libri, i suoi saggi innovativi sul lato della storiografia americana.
Soprattutto l'opera che lo ha reso più celebre, Una storia del popolo americano , scritta non dal punto di vista delle élites e dei governi, ma da quello dei nativi, degli schiavi di colore, delle vittime di genocidi e discriminazioni razziali.
Ricordiamo pure - prima di lasciare la parola ad Alessandro Portelli, docente universitario di letteratura americana alla Sapienza di Roma - gli altri titoli di Zinn: Non in nostro nome , Disobbedienza e Democrazia. Lo spirito della ribellione e Marx a Soho. Un monologo sulla storia .
Howard Zinn lo ricordiamo soprattutto come lo storico che ha riscritto la storia americana dal punto di vista degli sconfitti, dei nativi e degli schiavi di colore. Possiamo etichettarlo come l'inventore della storiografia dal basso?
Faceva parte di un clima e di una tradizione. Se uno pensa a storici come Eric Foner esisteva già una storiografia alternativa che termina con Howard Zinn. Non è tanto che lui inventi la storia dal basso, quanto che lui ci si accosti con gli strumenti più sofisticati, più articolati e con una passione straordinari. E' impossibile separare lo studioso dall'attivista. E' uno di quei casi il rigore della ricerca si accompagna a uno schieramento politico e di classe. Ma il suo discorso non diventa mai un discorso di pura propaganda.
Siamo poco abituati oggi a questo tipo di intellettuale. Esiste un cliché secondo cui l'intellettuale fa politica è poco serio nel rigore dei suoi studi. Non è così?
Pensiamo che va in cattedra neanche vent'anni dopo essersi iscritto all'università. Negli anni Cinquanta scrive una serie di libri di storiografia delle élites, di storiografia politica classica. Aveva una formazione rigorosa. Il punto è che Howard Zinn non scriveva per l'accademia. Il suo linguaggio, il suo modo di rivolgersi al lettore è completamente diverso da quello di una storiografia autoreferenziale. Se uno crede che il rigore consista nel numero di note a margine, allora non capito niente. Quella di Howard Zinn era una scrittura piana, comprensibile e nitida ma sorretta da un sapere totale.
Si trovò molte volte in contrasto con l'istituzione accademica. Da qualche parte denunciò anche i contratti che legano alcune università con il Dipartimento della difesa per sovvenzionare la ricerca in campi di interesse militare. O no?
Come no. Si è scontrato con la commissione dell'università di Boston. E' stato messo più volte sotto processo. Di nuovo, è un esempio di docente che intende l'insegnamento come una missione di formazione democratica e non come fabbricazione di nuova carne da mandare al mercato del lavoro. Ha sempre avuto molto chiaro che le sue lezioni servivano a creare cittadini critici e consapevoli e non dei piccoli professorini in erba o falliti. Per farcene un'idea pensiamo che nella sua ultima lezione concluse mezz'ora prima per andare a fare un picchetto. E si portava dietro gli studenti. Il picchetto è parte della lezione. Come fai a insegnare storia del movimento operaio o storia della democrazia o storia dei diritti sociali a gente che non ha mai visto o fatto un picchetto? Un'esperienza didattica oltre che politica.
Dalla guerra del Vietnam fino al conflitto iracheno è stato sempre un mobilitatore del movimento pacifista nelle università. Incontri, conferenze, discussioni con gli studenti, manifestazioni... E riusciva ad aggregare consensi, vero?
E' stato in Vietnam con Daniel Berrigan perché il governo del Vietnam del nord lo riconobbe come interlocutore a cui consegnare dei prigionieri che stavano rilasciando. Il governo vietnamita non li consegnò al governo Usa bensì, appunto, a Zinn e Berrigan che erano esponenti del movimento per la pace. Basta pensare come lui dienta il direttore del dipartimento di storia di un'università nera, in Georgia. Una scrittrice importante come Alice Walker lo ricorda come il più grande insegnante che abbia mai avuto. La sua adesione al movimento per i diritti civili non era un'adesione a parole, ma significava mettersi in gioco ed essere presente là dove si formano le radici del movimento.
Mai indulgente verso le mode. Le sue analisi erano sempre molto schiette. Negli ultimi tempi, ad esempio, non si lasciò mai trascinare nell'entusiasmo facile per Obama. Ne parlava come di un politico dei compromessi che non avrebbe mai cambiato veramente le cose, né nella guerra afghana né in politica economico-sociale. Farà solo «metà del male peggiore che gli verrà richiesto», disse. Esagerava?
Io ricordo un'altra sua dichiarazione durante le primarie. Guardate - disse - io cinque minuti per andare a votare per Obama ce li perdo pure, ma non è questo il gesto più importante che possiamo compiere. I gesti poitici importanti sono quelli che compiamo nel nostro agire sociale, nelle strade e nei movimenti. Certo, non cadeva nella trappola di un qualunquismo astensionista, però ci ricordava una cosa che stiamo dimenticando anche qui da noi. Che la politica non è che si faccia solo nelle elezioni o nelle istituzioni e che esiste una società nella quale siamo chiamati ad agire.
Non c'è un cambiamento diretto dall'alto, cioè dall'establishment?
I limiti attuali della politica di Obama hanno a che fare col fatto che quelli che l'hanno eletto stanno lì fermi ad aspettare quello che fa, invece di mobilitarsi.
Era intervenuto anche nella questione dei rapporti tra Usa e Cuba. Partecipava alla campagna di liberazione dei cinque cubani ancora nelle prigioni americane...
Non mi stupisce. Una politica pacifista è anche una politica antimperialista. Era in dialogo con le realtà sociali dell'America Latina.
Lascia dietro di sé una scuola di studiosi attivisti?
Non ha mai pensato di fare lo studioso individuale in una torre d'avorio. Ha sempre pensato che la professione storiografica dovesse organizzarsi anche politicamente.
2 Comments:
Conosco Zinn solo di fama, ma penso che la sua "lezione" politica e morale non debba nè possa andare perduta.
Ecco perchè andrò presto a cercarmi i suoi libri e li leggerò...
Mi interessa in particolare il testo in cui affronta il problema storico dal punto di vista degli emarginati e degli sfruttati.
Un caro saluto!
Pagliaccio.
Il solo presentare Howard Zinn come esponente della sinistra americana é da persona della quale non si dovrebbero piú ascoltare parole. Pagliaccio. (Detto da una persona non schierata, e che non ha mai partecipato alla sconvolgente e offensiva vita politica italiana, ma tu, per quell´affermazione, sei una vergogna per il pensiero libero)
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