Un naziskin in Comune
il manifesto 24.9.09
La nomina dell’ex picchiatore naziskin Stefano Andrini alla direzione dell’azienda municipale AMA Servizi a Roma è una scelta politica, non tecnica. A parte per il momento la sua storia personale, sono politiche, e non tecniche, tutte le scelte in cui qualcuno è chiamato “ad personam” – cioè senza una formale procedura comparativa e senza uno specifico percorso di carriera - a dirigere un organo della pubblica amministrazione, e cioè a rappresentare, sia pure in un ambito specifico, la città. Per questo non stanno in piedi le scuse dietro cui il sindaco ex missino Alemanno si trincera per difendere questa discutibile scelta: a) non si può discriminare una “lavoratore” sulla base di precedenti e già scontate condanne politiche (Andrini “ha pagato il debito con la giustizia,” ha detto in precedenti dichiarazioni); b) “Roma ha già pagato un debito altissimo” per gli scontri su “stereotipi” ideologici; c) giudicheremo tecnicamente il lavoro di Andrini alla fine della sua prima fase di mandato. Guardiamoli tutti e tre.
Mi pare giusto dire che una persona che ha scontato la pena per un reato non deve essere discriminata. Sarebbe bello se fosse così, se tutti i “pregiudicati” fossero trattati come cittadini con pienezza e parità di diritti, ma sappiamo benissimo che le cose stanno diversamente. Aggiungerei che non essere discriminati significa non essere esclusi, ma non trattati – come si pretende in questo caso – essere scelti. Nessuno ha discriminato Andrini come “lavoratore”, cioè come dipendente dell’azienda, nessuno ne ha chiesto il licenziamento. Se lo si contesta è come figura politica, scelta politicamente. Il diritto di chi ha scontato la pena ed è stato riabilitato comprende la libertà personale, un lavoro, un’adeguata retribuzione, i diritti politici salvo eccezioni – ma non possiamo considerare un diritto quello di essere prescelti a presiedere una pubblica azienda, un organo della collettività.
Su questo, un’altra osservazione. Nella cultura paracattolica che ci circonda, espiazione e pentimento cancellano la colpa e restituiscono la grazia. Quindi (a parte il fatto che di pentimento non si è parlato per trent’anni), se “ha pagato il suo debito,” Andrini è puro come l’agnello. Ma per chi non si sente cattolico in questi termini, e per chi ragiona in termini politici e non legalistici, la colpa commessa è un segno della qualità del soggetto, della sua etica e della sua identità. Per capirsi (e fatte le debite proporzioni): si tende a non mettere una persona condannata per pedofilia a guardia di un asilo, anche se ha scontato la pena. E’ vero che stiamo in un paese dove mettiamo falsificatori di bilancio a gestire lo stato e vecchi puttanieri a capo dei movimenti per la famiglia – ma è, appunto, uno scandalo. Andrini non andrà di nuovo a spaccare il cranio alla gente, immagino; ma c’è gente che appartiene alla sua cultura e al suo mondo che continua a farlo, che aggredisce i gay e picchia gli immigrati, e che da scelte come questa si sente garantita e legittimata.
E d’altra parte: quelli che adesso difendono il riabilitato Andrini sono gli stessi che strillano come aquile ogni volta che un ex brigatista si fa vedere in pubblico. Dice Alemanno: “mi sarei comportato allo stesso modo anche se fosse stato legato all’estremismo di sinistra.” Forse si è già scordato di quando disse che l’università era in mano a trecento criminali solo perché si prevedeva un incontro fra alcuni studenti e un ex brigatista, sotto sorveglianza di polizia. O forse non se ne è scordato affatto.
Secondo punto: il prezzo pagato da Roma per quello che Alemanno chiama “stereotipi”. L’ex missino Alemanno, che peraltro di quegli anni è stato ampiamente partecipe e corresponsabile, sembra cadere qui in una specie di non innocente amnesia generazionale: i prezzi pagati da Roma non cominciano negli anni ’70. Roma ha pagato un prezzo spaventoso per le idee e le pratiche di cui Andrini è stato fisicamente ed è oggi ideologicamente partecipe e fautore. Ha pagato nove mesi di occupazione, stragi, fucilazioni di massa, deportazioni: non sarà un caso che i più preoccupati sono gli ex deportati, i sopravvissuti ad Auschwitz, che dei prezzi pagati hanno una memoria ben più profondo e ben più dolorosa di quella del nostro sindaco.
Infine: lo giudicheremo per il suo lavoro. C’è in questi giorni a Roma uno sconcertante manifesto del Partito Democratico: “Roma è sempre più sporca. Alemanno revochi le nomine inadeguate all’AMA.” Ora, che la nomina di Andrini sia anche tecnicamente non ineccepibile sembra dedursi da quello che del suo curriculum si è letto sui giornali. Ma non è di questo che stiamo parlando: anche se ripulisse Roma, la sua nomina sarebbe comunque un’operazione sporca. Purtroppo, da quando il Partito Democratico (e le sue incarnazioni precedenti) hanno accettato l’equivalenza –strumentalmente ribadita da Alemanno – fra fascismo e comunismo, si sono privati anche della possibilità di scrivere sui muri della città che un nazista alla testa di un ente che ci appartiene come cittadini non ce lo vogliamo. Peccato.
La nomina dell’ex picchiatore naziskin Stefano Andrini alla direzione dell’azienda municipale AMA Servizi a Roma è una scelta politica, non tecnica. A parte per il momento la sua storia personale, sono politiche, e non tecniche, tutte le scelte in cui qualcuno è chiamato “ad personam” – cioè senza una formale procedura comparativa e senza uno specifico percorso di carriera - a dirigere un organo della pubblica amministrazione, e cioè a rappresentare, sia pure in un ambito specifico, la città. Per questo non stanno in piedi le scuse dietro cui il sindaco ex missino Alemanno si trincera per difendere questa discutibile scelta: a) non si può discriminare una “lavoratore” sulla base di precedenti e già scontate condanne politiche (Andrini “ha pagato il debito con la giustizia,” ha detto in precedenti dichiarazioni); b) “Roma ha già pagato un debito altissimo” per gli scontri su “stereotipi” ideologici; c) giudicheremo tecnicamente il lavoro di Andrini alla fine della sua prima fase di mandato. Guardiamoli tutti e tre.
Mi pare giusto dire che una persona che ha scontato la pena per un reato non deve essere discriminata. Sarebbe bello se fosse così, se tutti i “pregiudicati” fossero trattati come cittadini con pienezza e parità di diritti, ma sappiamo benissimo che le cose stanno diversamente. Aggiungerei che non essere discriminati significa non essere esclusi, ma non trattati – come si pretende in questo caso – essere scelti. Nessuno ha discriminato Andrini come “lavoratore”, cioè come dipendente dell’azienda, nessuno ne ha chiesto il licenziamento. Se lo si contesta è come figura politica, scelta politicamente. Il diritto di chi ha scontato la pena ed è stato riabilitato comprende la libertà personale, un lavoro, un’adeguata retribuzione, i diritti politici salvo eccezioni – ma non possiamo considerare un diritto quello di essere prescelti a presiedere una pubblica azienda, un organo della collettività.
Su questo, un’altra osservazione. Nella cultura paracattolica che ci circonda, espiazione e pentimento cancellano la colpa e restituiscono la grazia. Quindi (a parte il fatto che di pentimento non si è parlato per trent’anni), se “ha pagato il suo debito,” Andrini è puro come l’agnello. Ma per chi non si sente cattolico in questi termini, e per chi ragiona in termini politici e non legalistici, la colpa commessa è un segno della qualità del soggetto, della sua etica e della sua identità. Per capirsi (e fatte le debite proporzioni): si tende a non mettere una persona condannata per pedofilia a guardia di un asilo, anche se ha scontato la pena. E’ vero che stiamo in un paese dove mettiamo falsificatori di bilancio a gestire lo stato e vecchi puttanieri a capo dei movimenti per la famiglia – ma è, appunto, uno scandalo. Andrini non andrà di nuovo a spaccare il cranio alla gente, immagino; ma c’è gente che appartiene alla sua cultura e al suo mondo che continua a farlo, che aggredisce i gay e picchia gli immigrati, e che da scelte come questa si sente garantita e legittimata.
E d’altra parte: quelli che adesso difendono il riabilitato Andrini sono gli stessi che strillano come aquile ogni volta che un ex brigatista si fa vedere in pubblico. Dice Alemanno: “mi sarei comportato allo stesso modo anche se fosse stato legato all’estremismo di sinistra.” Forse si è già scordato di quando disse che l’università era in mano a trecento criminali solo perché si prevedeva un incontro fra alcuni studenti e un ex brigatista, sotto sorveglianza di polizia. O forse non se ne è scordato affatto.
Secondo punto: il prezzo pagato da Roma per quello che Alemanno chiama “stereotipi”. L’ex missino Alemanno, che peraltro di quegli anni è stato ampiamente partecipe e corresponsabile, sembra cadere qui in una specie di non innocente amnesia generazionale: i prezzi pagati da Roma non cominciano negli anni ’70. Roma ha pagato un prezzo spaventoso per le idee e le pratiche di cui Andrini è stato fisicamente ed è oggi ideologicamente partecipe e fautore. Ha pagato nove mesi di occupazione, stragi, fucilazioni di massa, deportazioni: non sarà un caso che i più preoccupati sono gli ex deportati, i sopravvissuti ad Auschwitz, che dei prezzi pagati hanno una memoria ben più profondo e ben più dolorosa di quella del nostro sindaco.
Infine: lo giudicheremo per il suo lavoro. C’è in questi giorni a Roma uno sconcertante manifesto del Partito Democratico: “Roma è sempre più sporca. Alemanno revochi le nomine inadeguate all’AMA.” Ora, che la nomina di Andrini sia anche tecnicamente non ineccepibile sembra dedursi da quello che del suo curriculum si è letto sui giornali. Ma non è di questo che stiamo parlando: anche se ripulisse Roma, la sua nomina sarebbe comunque un’operazione sporca. Purtroppo, da quando il Partito Democratico (e le sue incarnazioni precedenti) hanno accettato l’equivalenza –strumentalmente ribadita da Alemanno – fra fascismo e comunismo, si sono privati anche della possibilità di scrivere sui muri della città che un nazista alla testa di un ente che ci appartiene come cittadini non ce lo vogliamo. Peccato.
1 Comments:
E la maggior parte dei romani nemmeno sapevano di questa storia. Molti di quelli con cui ho parlato nemmeno si sono dati tanta pena di approfondire e l'idea generica che circola di più è espressa dalla frase "è uno schifo ma non ci si può fare niente. Sono i soliti corrotti" e così si finisce per accettare tutto senza rendersi conto di scivolare in una delle peggiori amministrazioni romane. Come quella che permette che nel quartiere dietro Viale Libia siano attaccati manifesti che inneggiano alla Repubblica sociale. Roma sembra la città europea dove è più frequente trovare svastiche sui muri e anche nella testa delle persone.
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