Il Nobel a Obama e il furore dei "patrioti"
il manifesto 11 ottobre 2009
Come si è potuto vedere anche su You Tube, i patrioti della destra americana avevano applaudito entusiasticamente una sconfitta degli Stati Uniti (il malconsigliato tentativo di Obama di portare le Olimpiadi a Chicago). Adesso sono patriotticamente sgomenti e infuriati per quello che a tutti gli altri sembra un successo del loro paese: l’assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente americano Barack Obama.
Sul significato di questo premio “sulla fiducia” a una figura che ha riaperto la speranza e cambiato il linguaggio delle relazioni internazionali – e che al tempo stesso è ancora molto lontano da conseguire la maggior parte degli obiettivi che di questa speranza sono oggetto – si è già scritto molto, e analisi molto equilibrate sono apparse anche sul manifesto. Più che tornarci sopra, vorrei riflettere un momento su questo paradossale patriottismo reazionario che plaude alle sconfitte e va in tilt ai successi del suo rappresentante eletto.
Adesso invece media con grandissimi ascolti e molta influenza sull’opinione pubblica – radio, blog, riviste, televisioni – sparano a zero. Per esempio, l’autorevole columnist Andy McCarthy scrive sull’autorevole e molto conservatrice National Review: “Questo premio è una concessione simbolica a chi si oppone all’eccezionalismo americano, alla potenza americana, al capitalismo americano, all’autodeterminazione americana, e al perseguimento americano degli interessi americani nel mondo.” Col solo fatto di essere in carica, “Obama può fare più di ogni altro personaggio nella storia per portare avanti il programma ‘Giù l’America dal piedistallo’”.
Ma come si fa, comunque, a dire che un riconoscimento a un presidente degli Stati Uniti è un atto antiamericano? Eppure, nel suo discorso dopo l’annuncio del premio Obama ha ribadito l’intenzione di rinforzare la leadership mondiale degli Stati Uniti. Certo, sull’”eccezionalismo” (la unicità e superiorità americana sul mondo) Obama qualche dubbio l’ha sollevato – abbastanza per convincere questi patrioti che l’eccezione è lui e gridare ai quattro venti che Barack Obama non è americano. E’ la prima volta che un presidente è fatto oggetto, in nome della patria, di una simile campagna di legittimazione e di odio (negli anni ’30, i ricchi rifiutavano di nominare Franklin Delano Roosevelt e lo chiamavano “quello là”, “that man” – ma restavano sostanzialmente nell’alveo di una normale opposizione politica). Barack Obama non è americano letteralmente: c’è tutta una campagna che sostiene sapendo di mentire che non è nato negli USA e non è nemmeno cittadino americano. E non è americano ideologicamente: è “musulmano”, “socialista”, “pacifista”
Però è veramente nero. Su RedState, uno dei più influenti blog di destra, l’opinionista Erick Erickson scrive: “Non mi ero reso conto che il Premio Nobel per la Pace praticava l’’affirmative action’, riservava una quota alle minoranze; ma solo così posso spiegarmi una notizia del genere”. Non ci scandalizziamo – autorevoli intellettuali italiani avevano detto e scritto praticamente le stesse cose quando il Nobel per la letteratura andò a Toni Morrison.
E Rush Limbaugh, l’idrofobo personaggio radiofonico che molti considerano il vero leader del partito repubblicano: “Con questo premio le elite del mondo invitano Obama Uomo di Pace a non portare avanti l’ondata militare in Afghanistan, a non agire contro l’Iran e il suo programma nucleare e sostanzialmente a portare avanti la sua intenzione di svirilizzare (“emasculate”) gli Stati Uniti.”
Leggiamolo bene, perché è un conciso repertorio del pensiero che ci ha dato Bush, Reagan e l’autobiografia di Sara Palin in cima a tutte le classifiche di vendite prima ancora che sia uscita. Il Nobel a Obama è antiamericano perché è elitario (come è noto, i repubblicani, come i miliardari nostrani, rappresentano “il popolo”), perché è assegnato dal “mondo”, a conferma di quel pericoloso cosmopolitismo obamiano di cui era già segno per la destra l’entusiasmo europeo (e africano) durante la campagna elettorale e dopo la sua vittoria. E’ antiamericano perché fa temere che la leadership possa non significare solo bombe e guerre (che intanto continuano, comunque). E’ antiamericano perché l’”intenzione” di Obama è di andare contro il suo paese. E infine, e soprattutto, è antiamericano perché non è per veri uomini. Come ci hanno spiegato influenti guru americani molto ascoltati anche da noi, i veri uomini vengono da Marte (e sono americani); gli europei vengono da Venere; se sono gli europei a premiare Obama, allora viene da Venere anche lui. C’è da sperare che abbiamo ragione.
Persone che ammiro molto e ascolto attentamente, da Howard Zinn a Abraham Yeoshua, hanno criticato duramente e con solidi argomenti l’assegnazione del Nobel a Barack Obama. Però il solo fatto che mandi così in confusione la destra americana e che capovolga il senso del suo sbandierato patriottismo mi fa a pensare che, aspettando il futuro, questa scelta almeno un minimo provvisorio di senso ce l’ha.
Come si è potuto vedere anche su You Tube, i patrioti della destra americana avevano applaudito entusiasticamente una sconfitta degli Stati Uniti (il malconsigliato tentativo di Obama di portare le Olimpiadi a Chicago). Adesso sono patriotticamente sgomenti e infuriati per quello che a tutti gli altri sembra un successo del loro paese: l’assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente americano Barack Obama.
Sul significato di questo premio “sulla fiducia” a una figura che ha riaperto la speranza e cambiato il linguaggio delle relazioni internazionali – e che al tempo stesso è ancora molto lontano da conseguire la maggior parte degli obiettivi che di questa speranza sono oggetto – si è già scritto molto, e analisi molto equilibrate sono apparse anche sul manifesto. Più che tornarci sopra, vorrei riflettere un momento su questo paradossale patriottismo reazionario che plaude alle sconfitte e va in tilt ai successi del suo rappresentante eletto.
Adesso invece media con grandissimi ascolti e molta influenza sull’opinione pubblica – radio, blog, riviste, televisioni – sparano a zero. Per esempio, l’autorevole columnist Andy McCarthy scrive sull’autorevole e molto conservatrice National Review: “Questo premio è una concessione simbolica a chi si oppone all’eccezionalismo americano, alla potenza americana, al capitalismo americano, all’autodeterminazione americana, e al perseguimento americano degli interessi americani nel mondo.” Col solo fatto di essere in carica, “Obama può fare più di ogni altro personaggio nella storia per portare avanti il programma ‘Giù l’America dal piedistallo’”.
Ma come si fa, comunque, a dire che un riconoscimento a un presidente degli Stati Uniti è un atto antiamericano? Eppure, nel suo discorso dopo l’annuncio del premio Obama ha ribadito l’intenzione di rinforzare la leadership mondiale degli Stati Uniti. Certo, sull’”eccezionalismo” (la unicità e superiorità americana sul mondo) Obama qualche dubbio l’ha sollevato – abbastanza per convincere questi patrioti che l’eccezione è lui e gridare ai quattro venti che Barack Obama non è americano. E’ la prima volta che un presidente è fatto oggetto, in nome della patria, di una simile campagna di legittimazione e di odio (negli anni ’30, i ricchi rifiutavano di nominare Franklin Delano Roosevelt e lo chiamavano “quello là”, “that man” – ma restavano sostanzialmente nell’alveo di una normale opposizione politica). Barack Obama non è americano letteralmente: c’è tutta una campagna che sostiene sapendo di mentire che non è nato negli USA e non è nemmeno cittadino americano. E non è americano ideologicamente: è “musulmano”, “socialista”, “pacifista”
Però è veramente nero. Su RedState, uno dei più influenti blog di destra, l’opinionista Erick Erickson scrive: “Non mi ero reso conto che il Premio Nobel per la Pace praticava l’’affirmative action’, riservava una quota alle minoranze; ma solo così posso spiegarmi una notizia del genere”. Non ci scandalizziamo – autorevoli intellettuali italiani avevano detto e scritto praticamente le stesse cose quando il Nobel per la letteratura andò a Toni Morrison.
E Rush Limbaugh, l’idrofobo personaggio radiofonico che molti considerano il vero leader del partito repubblicano: “Con questo premio le elite del mondo invitano Obama Uomo di Pace a non portare avanti l’ondata militare in Afghanistan, a non agire contro l’Iran e il suo programma nucleare e sostanzialmente a portare avanti la sua intenzione di svirilizzare (“emasculate”) gli Stati Uniti.”
Leggiamolo bene, perché è un conciso repertorio del pensiero che ci ha dato Bush, Reagan e l’autobiografia di Sara Palin in cima a tutte le classifiche di vendite prima ancora che sia uscita. Il Nobel a Obama è antiamericano perché è elitario (come è noto, i repubblicani, come i miliardari nostrani, rappresentano “il popolo”), perché è assegnato dal “mondo”, a conferma di quel pericoloso cosmopolitismo obamiano di cui era già segno per la destra l’entusiasmo europeo (e africano) durante la campagna elettorale e dopo la sua vittoria. E’ antiamericano perché fa temere che la leadership possa non significare solo bombe e guerre (che intanto continuano, comunque). E’ antiamericano perché l’”intenzione” di Obama è di andare contro il suo paese. E infine, e soprattutto, è antiamericano perché non è per veri uomini. Come ci hanno spiegato influenti guru americani molto ascoltati anche da noi, i veri uomini vengono da Marte (e sono americani); gli europei vengono da Venere; se sono gli europei a premiare Obama, allora viene da Venere anche lui. C’è da sperare che abbiamo ragione.
Persone che ammiro molto e ascolto attentamente, da Howard Zinn a Abraham Yeoshua, hanno criticato duramente e con solidi argomenti l’assegnazione del Nobel a Barack Obama. Però il solo fatto che mandi così in confusione la destra americana e che capovolga il senso del suo sbandierato patriottismo mi fa a pensare che, aspettando il futuro, questa scelta almeno un minimo provvisorio di senso ce l’ha.
1 Comments:
Mi trovo assolutamente d'accordo
Luca da SS
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