No alla grazia a Priebke, sì all'abolizione dell'ergastolo
Mi chiama Lina Ciavarella, novantadue anni, un pezzo di storia del Pci milanese. “Scusa se ti disturbo, ma è entrata in casa mia una lettera che mi ha turbato moltissimo”. Francesco Ciavarella, il fratello di Lina, militava nel Fronte militare clandestino durante l’occupazione nazista a Roma; è uno dei 335 ammazzati alle Fosse Ardeatine nel 1944. Per la sua responsabilità in quel massacro, Erich Priebke è stato condannato all’ergastolo che sta scontando agli arresti domiciliari. Adesso, su iniziativa dei suoi avvocati e familiari, nonché di tre familiari delle vittime delle Ardeatine, è stata presentata una domanda di grazia che la magistratura a sua volta sottopone al parere dei familiari delle vittime. E’ questa la lettera che è enrata in casa di Lina Ciavarella, violando il suo spazio e la sua pace interiore.
“Mia madre ha perso la ragione dopo la morte del figlio”, dice, “e con tutti gli elettroshock che le hanno fatto non l’ha più ritrovata. Io adesso sono troppo vecchia, non mi posso più muovere, ma sono riuscita lo stesso a farmi accompagnare a votare per il no al referendum. Per favore, fate qualcosa.” Lina Ciavarella non è stata la sola familiare delle Ardeatine a farsi viva per esprimere sconcerto e turbamento, e qualcosa abiamo fatto: se non altro, è stata ribadita la posizione contraria della città di Roma, medaglia d’oro della Resistenza, la città che oscurò in segno di lutto tutti i monumenti la notte in cui sembrava che Priebke stesse per essere rimesso in libertà.
E tuttavioa, per una coscienza democratica la condanna all’ergastolo un problema lo pone: dopo tutto, ci mobilitammo anni fa nel referendum per l’abolizione dell’ergastolo. Era una richista fondata su un solido principio costituzionale e di civiltà: nel nostro sistema giuridico, la pena non ha una funzione meramente afflittiva (far soffrire il colpevole) ma ha soprattutto la funzione di avviare un processo di cambiamento che prepari il suo reinserimento nella società. E’ chiaro che – al di là della realtà concreta del sistema carcerario - l’ergastolo, una pena che non prevede altro termine che la morte, contraddice comunque questo principio fondamentale. Il referendum non ebbe successo, e adesso le nostre carceri rinchiudono ancora 35 ergastolani di età superiore ai 70 anni (e trecento altri detenuti della stessa fascia d’età) – chiusi in prigione, non agli arresti domiciliari. Perciò è paradossale che da quella destra forcaiola che in nome dell’afflittività della pena impose allora di conservare l’ergastolo venga adesso la richiesta di fare un’eccezione proprio per Erich Priebke.
Solo due volte, a sinistra, ci siamo trovati a contraddire l’opposizione di principio all’ergastolo: nel caso dei massacratori del Circeo, e in quello del massacratore delle Ardeatine. In entrambi i casi, si è trattato di crimini odiosi non solo verso le vittime, ma contro l’umanità, a cui era necessario che rispondere con tutto il potere della legge; nel caso di Priebke, poi, si ricorderà che la condanna all’ergastolo era comunque l’unica alternativa alla liberazione immediata.
In tutti e due i casi, peraltro, i condannati si sono incaricati di dimostrare che la condanna non avviava in loro quel percorso di trasformazione attraverso la pena, su cui si fonda il rigetto di principio dell’ergastolo. Sappiamo bene che cosa hanno fatto gli assassini del Circeo anche dopo la condanna; quanto a Priebke, in tutti questi anni non ha dato nessun segno di ripensamento e di cambiamento. Fra l’altro, la campagna per la sua liberazione ha sempre avuto un sottofondo politico mirante non tanto a salvare un povero vecchio ma soprattutto a legittimare quello che aveva fatto e a rivalutare l’ordine e l’ideologia di cui è stato esponente: si chiede la grazia per Priebke proprio perché è un nazista non pentito e attraverso di lui si chiede la riabilitazione del nazismo stesso.
Per di più, Priebke è talmente convinto delle proprie ragioni che è arrivato a fare causa per diffamazione a Rosetta Stame, figlia di una delle sue vittime, che è stata addirittura condannata a un non trascurabile risarimento finanziario per le presunte offese arrecate al buon nome del massacratore delle Ardeatine. Capisco l’etica del perdono che forse anima quel piccolo gruppo di familiari che condividono la richiesta della grazia; ma è decisamente insopportabile che uno che non perdona la sua vittima per una parola sbagliata pretenda adesso il perdono da lei e da noi.
Vorrei aggiungere un’altra osservazione. Va benissimo, è forse doveroso, che la magistratura senta il parere delle vittime; ma è bene ricordare che il processo penale non è una questione privata fra vittime e colpevoli. La ragione della sanzione penale è che il delitto offende tutta la società (e un crimine contro l’umanità offende tutto il genere umano), e lo stato non giudica a nome delle persone offese, ma per conto di tutti noi (“in nome del popolo italiano”), in nome dei principi condivisi che ci tengono insieme come società. Il perdono delle vittime – se c’è, e da quello che ho sentito mi pare improbabile – può avere valore morale personale, ma resta cosa distinta dall’esigenza pubblica di giustizia.
Per tutte queste ragioni la richiesta di grazia per Erich Priebke va respinta. Se mai, il discorso è un altro: se è vero che ragioni umanitarie rendono insopportabile l’idea di tenere in carcere tanti vecchi fino alla morte, allora riprendiamo il tema democratico dell’abolizione dell’ergastolo, come principio di civiltà e non come eccezione per un singolo criminale nazista. Se insieme agli altri, scontato il massimo della pena, dovesse uscire dagli arresti anche Erich Priebke, non mi scandalizzerei: la nostra società avrebbe comunque confermato l’applicazione del pieno rigore della legge al suo crimine imperdonabile.
“Mia madre ha perso la ragione dopo la morte del figlio”, dice, “e con tutti gli elettroshock che le hanno fatto non l’ha più ritrovata. Io adesso sono troppo vecchia, non mi posso più muovere, ma sono riuscita lo stesso a farmi accompagnare a votare per il no al referendum. Per favore, fate qualcosa.” Lina Ciavarella non è stata la sola familiare delle Ardeatine a farsi viva per esprimere sconcerto e turbamento, e qualcosa abiamo fatto: se non altro, è stata ribadita la posizione contraria della città di Roma, medaglia d’oro della Resistenza, la città che oscurò in segno di lutto tutti i monumenti la notte in cui sembrava che Priebke stesse per essere rimesso in libertà.
E tuttavioa, per una coscienza democratica la condanna all’ergastolo un problema lo pone: dopo tutto, ci mobilitammo anni fa nel referendum per l’abolizione dell’ergastolo. Era una richista fondata su un solido principio costituzionale e di civiltà: nel nostro sistema giuridico, la pena non ha una funzione meramente afflittiva (far soffrire il colpevole) ma ha soprattutto la funzione di avviare un processo di cambiamento che prepari il suo reinserimento nella società. E’ chiaro che – al di là della realtà concreta del sistema carcerario - l’ergastolo, una pena che non prevede altro termine che la morte, contraddice comunque questo principio fondamentale. Il referendum non ebbe successo, e adesso le nostre carceri rinchiudono ancora 35 ergastolani di età superiore ai 70 anni (e trecento altri detenuti della stessa fascia d’età) – chiusi in prigione, non agli arresti domiciliari. Perciò è paradossale che da quella destra forcaiola che in nome dell’afflittività della pena impose allora di conservare l’ergastolo venga adesso la richiesta di fare un’eccezione proprio per Erich Priebke.
Solo due volte, a sinistra, ci siamo trovati a contraddire l’opposizione di principio all’ergastolo: nel caso dei massacratori del Circeo, e in quello del massacratore delle Ardeatine. In entrambi i casi, si è trattato di crimini odiosi non solo verso le vittime, ma contro l’umanità, a cui era necessario che rispondere con tutto il potere della legge; nel caso di Priebke, poi, si ricorderà che la condanna all’ergastolo era comunque l’unica alternativa alla liberazione immediata.
In tutti e due i casi, peraltro, i condannati si sono incaricati di dimostrare che la condanna non avviava in loro quel percorso di trasformazione attraverso la pena, su cui si fonda il rigetto di principio dell’ergastolo. Sappiamo bene che cosa hanno fatto gli assassini del Circeo anche dopo la condanna; quanto a Priebke, in tutti questi anni non ha dato nessun segno di ripensamento e di cambiamento. Fra l’altro, la campagna per la sua liberazione ha sempre avuto un sottofondo politico mirante non tanto a salvare un povero vecchio ma soprattutto a legittimare quello che aveva fatto e a rivalutare l’ordine e l’ideologia di cui è stato esponente: si chiede la grazia per Priebke proprio perché è un nazista non pentito e attraverso di lui si chiede la riabilitazione del nazismo stesso.
Per di più, Priebke è talmente convinto delle proprie ragioni che è arrivato a fare causa per diffamazione a Rosetta Stame, figlia di una delle sue vittime, che è stata addirittura condannata a un non trascurabile risarimento finanziario per le presunte offese arrecate al buon nome del massacratore delle Ardeatine. Capisco l’etica del perdono che forse anima quel piccolo gruppo di familiari che condividono la richiesta della grazia; ma è decisamente insopportabile che uno che non perdona la sua vittima per una parola sbagliata pretenda adesso il perdono da lei e da noi.
Vorrei aggiungere un’altra osservazione. Va benissimo, è forse doveroso, che la magistratura senta il parere delle vittime; ma è bene ricordare che il processo penale non è una questione privata fra vittime e colpevoli. La ragione della sanzione penale è che il delitto offende tutta la società (e un crimine contro l’umanità offende tutto il genere umano), e lo stato non giudica a nome delle persone offese, ma per conto di tutti noi (“in nome del popolo italiano”), in nome dei principi condivisi che ci tengono insieme come società. Il perdono delle vittime – se c’è, e da quello che ho sentito mi pare improbabile – può avere valore morale personale, ma resta cosa distinta dall’esigenza pubblica di giustizia.
Per tutte queste ragioni la richiesta di grazia per Erich Priebke va respinta. Se mai, il discorso è un altro: se è vero che ragioni umanitarie rendono insopportabile l’idea di tenere in carcere tanti vecchi fino alla morte, allora riprendiamo il tema democratico dell’abolizione dell’ergastolo, come principio di civiltà e non come eccezione per un singolo criminale nazista. Se insieme agli altri, scontato il massimo della pena, dovesse uscire dagli arresti anche Erich Priebke, non mi scandalizzerei: la nostra società avrebbe comunque confermato l’applicazione del pieno rigore della legge al suo crimine imperdonabile.