Aprile a San Paolo: 1944, 2011
il manifesto 24.4.2011
La notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944, i fascisti della banda Koch, aguzzini al servizio degli occupanti nazisti, irruppero nel convento annesso alla Basilica di San Paolo, violando l’extraterritorialità vaticana, arrestando più di sessanta ebrei, renitenti alla leva, antifascisti che vi erano rifugiati per sfuggire alla persecuzione nazista. Nel pomeriggio del 22 aprile 2011, duecento rom si sono rifugiati nella Basilica per trascorrere almeno la notte al coperto dalle persecuzioni spietate del fascismo contemporaneo. E oggi 25 aprile, a poche centinaia di metri di distanza, a Porta San Paolo, dove cominciò la Resistenza, si ricorda il giorno in cui ci liberammo della banda Koch e dei suoi mandanti, e si prende atto del fatto che non ci siamo ancora liberati dei suoi epigoni. Anzi.
Scriveva T. S. Eliot che aprile è il mese più crudele, e la città di Roma con le sue istituzioni lo prende alla lettera: mille Rom in una settimana (“santa”) sbattuti fuori dai campi distrutti; aggressioni verbali impunite a una coppia lesbica in pieno centro; insulti a una deputata disabile in parlamento; isterismi per l’arrivo di duecento tunisini di una città di tre milioni di abitanti (pronta peraltro ad accogliere centinaia di migliaia di pellegrini adoranti e paganti per i quali c’è sempre posto). Un titolo dell’Espresso nel ‘55 parlava di “capitale corrotta, nazione infetta”: alla vigilia di questo 25 aprile, Roma di Alemanno è la degna capitale di un’Italia che ha dimenticato come è nata e perché.
Ma esiste una memoria dei luoghi che va oltre la memoria delle persone, e oggi San Paolo la rappresenta. Forse, i perseguitati di oggi non sanno la storia dei perseguitati del 1944, ma in parte la ripetono: come al tempo delle leggi razziali e della cacciata dal centro dei ceti popolari, sono espulsi da una città arrogante e devota che celebra i propri fasti facendo sparire i poveri e gli emarginati. Perciò, entrando nella Basilica, i Rom non hanno solo cercato dove passare la notte: hanno compiuto un atto politico di resistenza, affermando l’insopprimibilità dei diritti umani e la loro presenza attiva di soggetti nella storia. La Resistenza che ricordiamo oggi ha avuto lo stesso significato. Diceva Maria Teresa Regard, partigiana combattente: io a Porta San Paolo non ci sono andata perché me l’ha detto il partito ma perché era giusto andarci. La Resistenza è stato il momento in cui una generazione abituata ad essere sudditi e a lasciar fare i potenti smette di ubbidire e riprende in mano la propria storia. La nostra Costituzione, che ai potenti è sempre parsa intollerabile, nasce da lì: immagina e costruisce una cittadinanza attiva e partecipe, non un popolo governabile ma un popolo che governa. I Rom nella Basilica oggi, i combattenti di Porta San Paolo allora, mettono tutti, istituzioni e cittadini, davanti alla responsabilità delle proprie azioni. Questo 25 aprile, contiguo alla Pasqua e al 1 maggio, ci ricorda che sì, aprile è un mese crudele, ma che il nostro aprile finì con una vittoria e con una festa. Riproviamoci: dipende da noi.
La notte tra il 3 e il 4 febbraio 1944, i fascisti della banda Koch, aguzzini al servizio degli occupanti nazisti, irruppero nel convento annesso alla Basilica di San Paolo, violando l’extraterritorialità vaticana, arrestando più di sessanta ebrei, renitenti alla leva, antifascisti che vi erano rifugiati per sfuggire alla persecuzione nazista. Nel pomeriggio del 22 aprile 2011, duecento rom si sono rifugiati nella Basilica per trascorrere almeno la notte al coperto dalle persecuzioni spietate del fascismo contemporaneo. E oggi 25 aprile, a poche centinaia di metri di distanza, a Porta San Paolo, dove cominciò la Resistenza, si ricorda il giorno in cui ci liberammo della banda Koch e dei suoi mandanti, e si prende atto del fatto che non ci siamo ancora liberati dei suoi epigoni. Anzi.
Scriveva T. S. Eliot che aprile è il mese più crudele, e la città di Roma con le sue istituzioni lo prende alla lettera: mille Rom in una settimana (“santa”) sbattuti fuori dai campi distrutti; aggressioni verbali impunite a una coppia lesbica in pieno centro; insulti a una deputata disabile in parlamento; isterismi per l’arrivo di duecento tunisini di una città di tre milioni di abitanti (pronta peraltro ad accogliere centinaia di migliaia di pellegrini adoranti e paganti per i quali c’è sempre posto). Un titolo dell’Espresso nel ‘55 parlava di “capitale corrotta, nazione infetta”: alla vigilia di questo 25 aprile, Roma di Alemanno è la degna capitale di un’Italia che ha dimenticato come è nata e perché.
Ma esiste una memoria dei luoghi che va oltre la memoria delle persone, e oggi San Paolo la rappresenta. Forse, i perseguitati di oggi non sanno la storia dei perseguitati del 1944, ma in parte la ripetono: come al tempo delle leggi razziali e della cacciata dal centro dei ceti popolari, sono espulsi da una città arrogante e devota che celebra i propri fasti facendo sparire i poveri e gli emarginati. Perciò, entrando nella Basilica, i Rom non hanno solo cercato dove passare la notte: hanno compiuto un atto politico di resistenza, affermando l’insopprimibilità dei diritti umani e la loro presenza attiva di soggetti nella storia. La Resistenza che ricordiamo oggi ha avuto lo stesso significato. Diceva Maria Teresa Regard, partigiana combattente: io a Porta San Paolo non ci sono andata perché me l’ha detto il partito ma perché era giusto andarci. La Resistenza è stato il momento in cui una generazione abituata ad essere sudditi e a lasciar fare i potenti smette di ubbidire e riprende in mano la propria storia. La nostra Costituzione, che ai potenti è sempre parsa intollerabile, nasce da lì: immagina e costruisce una cittadinanza attiva e partecipe, non un popolo governabile ma un popolo che governa. I Rom nella Basilica oggi, i combattenti di Porta San Paolo allora, mettono tutti, istituzioni e cittadini, davanti alla responsabilità delle proprie azioni. Questo 25 aprile, contiguo alla Pasqua e al 1 maggio, ci ricorda che sì, aprile è un mese crudele, ma che il nostro aprile finì con una vittoria e con una festa. Riproviamoci: dipende da noi.