Sfere del sacro. Tra la SS. Trinità di Vallepietra e Harlan County, Kentucky
Prendiamo due storie miracolose. La prima viene da Vallepietra. Era la mia prima visita al santuario, a metà anni ’70; facevo interviste più o meno volanti, e chiedevo se qualcuno aveva notizia o testimonianza di eventi miracolosi. Un uomo di Rieti, autista di autobus, racconta:
- Che le dovrei dire – io proprio con esattezza non ne ho visto con questi occhi. Cioè un anno, saranno quattro cinque anni fa, cascò una pietra, e c’era una bancarella che vendeva dei ricordini, giù al santuario. Cascò questa pietra e purtroppo prese sopra a un masso della bancarella e uccise questa persona che vendeva questi santuari, che sarebbe praticamente uno di Vallepietra.
Portelli. Che successe?
. Eh, che successe, purtroppo si staccò questa pietra – adesso, sentir dire la gente, sembra che questo non era divoto a questo santuario.
Portelli. E quindi si fece male?
- E quindi si fece male, cioè no, si fece male – morì, addirittura.
Portelli. Perché non era devoto al santuario?
- A quello che ho potuto sentir dire io, ma proprio con esattezza non potrei spiegare perché io maggiormente, vede, non è che vengo qui e seguo proprio addirittura il santuario.
Quest’altro racconto viene invece da Wallins Creek, contea di Harlan, nella regione mineraria e molto povera del Kentucky Sudorientale, negli Stati Uniti. Il narratore, appartenente alla chiesa Holiness, si chiama Sill Leach, è un ex minatore, nato nel 1925; l’intervista è stata registrata il 25 agosto 1991. E’ presente anche la moglie, Nellie Leach:
Sill Leach. E la lavastoviglie s’è bloccata, e era una lavastoviglie quasi nuova. Allora lei va lì e dice, “Signore”, dice, “non ci possiamo permettere un’altra lavastoviglie. La lavastoviglie, guarda, tu ci devi aiutare e la devi aggiustare tu.” Così il Signore – lei si gira, e la macchina riparte, e non s’è più fermata, dopo che lei ci ha pregato sopra”
Portelli. Il Signore vi ha riparato la lavastoviglie.
Nellie Leach. Il Signore l’ha riparata, no?
Come mostra la mia domanda – un po’ maleducatamente irriverente nelle intenzioni, ma non percepita come tale dagli interlocutori – l’idea del Signore Iddio che dal cielo ripara la lavastoviglie può far venire da ridere. C’è proprio una sproporzione, ai nostri occhi, fa il divino e l’elettrodomestico. E infatti, se confrontiamo i due racconti ci accorgiamo che la differenza principale sta proprio nello spazio: domestico, quotidiano nel racconto americano protestante “fondamentalista”; eccezionale, consacrato, in quello italiano cattolico.
La storia del venditore ucciso dal masso a Vallepietra infatti può essere letta in almeno due modi. Da un lato, la possiamo pensare come punizione del peccatore che si permette di violare lo spazio sacro del Santuario, per di più per vendere la sua merce (mercante nel tempio? La dissacrazione, anche nell’episodio evangelico, forse non consiste solo nella mercificazione del luogo sacro, ma anche nell’incongruità di un’attività “ordinaria” in unno spazio “speciale). Però il narratore, un autista di autobus proveniente da Rieti, aggiunge che anche lui “non è che segu[e] proprio il santuario”: se fosse questo il significato, forse dovrebbe avere qualche timore anche per se stesso. E poi, forse l’immagine di una divinità punitiva e vendicativa non si accorda del tutto con la natura risanatrice del luogo.
Una seconda lettura, forse più complicata ma più suggestiva è quella per cui, in un luogo come Vallepietra – dove gli storpi gettano le stampelle e i muti parlano – le leggi naturali sono normalmente sospese. In un luogo dove (come dice la canzone che cantano i pellegrini) i buoi cascano da grande altezza sopra i sassi, e si rialzano e riprendono a camminare, ci si aspetterebbe che se ti casca un masso in testa non ti faccia niente. Il prodigio allora consiste nella sospensione mirata della prodigiosità del luogo: normalmente, qui non vigono le leggi normali della gravità e della natura; il miracolo consiste nel temporaneo ripristino della normalità.
Prendiamo altre due storie di miracoli. Ancora una volta, Vallepietra, il narratore è un pellegrino di Articoli Corrado:
Io me ce so’ incontrato, sei sette anni fa, che una bambina ha chiamato la mamma, era sordomuta, ha chiamato la prima volta la mamma giù al santuario. Stavo lì proprio e lì quando è successo ‘sto fatto, che la bambina ha chiamato la mamma proprio sotto al santuario, lì so’ stati commossi tutti perché c’era molta gente, poi ciànno tirato indietro, indietro, indietro, e hanno portato questa bambina al pronto soccorso e lì è stata assistita dai carabinieri.
E Closplint, ancora a Harlan County. Il narratore si chiama Delbert Jones, ex minatore, nato nel 1930, intervistato il 24.10.1988:
Mio figlio, aveva dieci anni, era il piccolo della famiglia, e è rimasto ucciso in un incidente di caccia. E avevamo un frigorifero – adesso non c’è più, è andato perduto nell’incendio, ma avevamo fatto delle fotografie. E quando hanno scattato una foto, hanno scattato la macchina fotografica, un giorno ci siamo messi a guardare le foto e dico, che è quella cosa sul frigorifero? Abbiamo guardato meglio, e era Johnny. C’è come una stella, un punto luminoso, sul frigorifero. Gli piacevano le fotografie, gli piaceva fare le foto, e quando hanno scattato quella lui c’è voluto stare dentro, ci doveva proprio stare, caro mio, e è comparso sul frigorifero. E’ stato un miracolo. Ce l’avevamo, la foto, non so che fine ha fatto. Ma mi sarebbe piaciuto fartela vedere.
L’apparizione sul frigorifero è altrettanto incongrua della sacra riparazione della lavastoviglie, ma un po’ più sconcertante dato che c’è di mezzo la morte e non la possiamo buttare a ridere. La foto miracolosa del ragazzo morto potrebbe essere un ex voto – solo che gli ex voto stanno nei santuari mentre questa immagine miracolosa sta in cucina, su un altro elettrodomestico, e nell’album di famiglia (dando per scontato che la foto esista davvero e non sia una proiezione di desiderio e rimpianto da parte dei genitori addolorati).
La differenza fra questo miracolo nel quotidiano, e la nostra concezione del rapporto fra miracolo e spazio sacro è confermata dall’altro racconto di Vallepietra. L’intera narrazione è dominata dalla deissi: il miracolo avviene “giù al santuario”, anzi “proprio sotto al santuario”, l’avverbio di luogo, “lì”, viene ripetuto tre volte; gli astanti sono invitati insistentemente a farsi “indietro”. Aggiungerei che c’è anche un dato di eccezionalità del tempo, uno strappo nel tempo ordinario: quando il miracolo si conclude e la bambina riprende la parola, il controllo viene restituito alle agenzie del tempo ordinario, il pronto soccorso e i carabinieri (non so se per proteggerla, o per sottoporla a verifica).
Prima di procedere a qualche considerazione interpretativa, vorrei aggiungere un altro racconto di Nellie Leach, che ribadisce la consuetudine con questi piccoli miracoli ordinari nella vita di tutti i giorni, questi microinterventi divini nel quotidiano.
Una volta era andata alla funzione, abitavamo a cinque miglia dalla chiesa e sono andata alla funzione e avevo un buco nel serbatoio della benzina. Usciva la benzina, piano piano. E quando sono ripartita per tornare a casa ho detto agli altri, “Pregate per me, per farmi arrivare a casa,” gli ho detto, “perché non so se mi basta o no la benzina per arrivare a casa.” Arrivo verso un terzo della strada fuori città e verso casa e la macchina comincia a rallentare, e io comincio a pregare, non avevo soldi, non avevo modo di tornare e fare benzina, era tutto chiuso, e cominciai a pregare e dissi, “Caro Signore, la macchina mi pianta qui in piena notte e io sto qui da sola, fammi arrivare almeno in paese, dove ci sono le luci, non ti chiedo di portarmi più in là.” E tenevo il piede fisso sull’acceleratore, non davo più gas, non lo lasciavo andare. E, e so che feci almeno quattro miglia e appena arrivata dentro il paese la macchina muore. Telefono a mio figlio, dico, “sto qui bloccata al ponte, ho finito la benzina”, dico, “fin qui ci sono arrivata con la preghiera.” E lui, “Mamma, che ti piglia?” Dice, “se Dio ti ha portato fin qui,” dice, “ti può portare pure fino a casa.” E io dico, “Be’, io non gli ho chiesto di portarmi a casa,” dico; “gli ho chiesto solo di portarmi dov’erano le luci. E Lui mi ci ha portato. Mi ha portato dov’erano le luci. Ti dico, ha risposto alle mie preghiere.”
La risposta del figlio è senz’altro irriverente, ma forse anche reverente nello stesso tempo. Infatti la sua risposta alla madre (“se Dio ti ha portato fino a qui, ti può portare pure fino a casa”) è una citazione letterale dal più amato e famoso dei canti religiosi americani, “Amazing Grace” (scritto dall’ex capitano negriero John Newfield, di Liverpool, nel 1700, amatissimo da tutti, bianchi e neri): “E’ stata la grazia di Dio che ci ha portato fin qui, e la grazia ci porterà fino a casa”. Il figlio di Nellie Leach si limita a citare la canzone prendendola sul serio, alla lettera – perché la letteralità è la base del discorso “fondamentalista” del sacro in generale. Ho chiesto a Dio di portarmi fino alle luce, e Lui mi ha portato lì e non un metro più in là. Noi prendiamo alla lettera la parola di Dio perché Dio prende alla lettera le nostre preghiere.
Aggiungerei un altro elemento: il diverso rapporto con la tecnologia. Al centro dei racconti di Harlan stanno lavastoviglie, frigorifero, automobile. La capacità protestante di individuare dimensioni simboliche in ogni oggetto ordinario fa sì che non abbia problemi con la modernità: negli spiritual, banchi e neri, la radio, il treno, persino il baseball diventano metafore del rapporto con Dio. Da noi, magari qualche ex voto ringrazia per essere scampati da un incidente automobilistico; ma l'ìggetto centrale è il corpo del fedele, non l'automobile. La macchina resta connotata in senso troppo laico, se non proprio profano, in un discorso che riguarda realtà essenziali e senza tempo, la vita e la morte.
Perciò, come diverso è il rapporto con lo spazio sacro, così è diverso il rapporto coi simboli. Dalle parti di Harlan County, prendono alla lettera Marco 16:15-20: “nel nome mio scacceranno i dèmoni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti…” E in tante chiese Holiness prendono materialmente in mano i serpenti a sonagli e i copperheads, e se vengono morsi non chiamano il dottore. Confrontiamo con il rituale dei serpenti a Cocullo, studiato da Alfonso Di Nola: lì, alle vipere vengono tolti preventivamente i denti del veleno. A Cocullo, il serpente è un simbolo; a Harlan, è un rischio e una prova tangibile. Così, quando “Amazing Grace” dice che la grazia ci porta a casa (e, nel racconto di Nellie Leach, fino alla luce!), lo intende certo in senso simbolico, spirituale; ma il punto è proprio che il simbolico non esclude il letterale, lo spirituale non esclude il mondano. Perché il mondano è intriso di presenza della spirito.
Qui sta infine il senso profondo di questa differenza culturale. La nostra tradizione relega il sacro in una sfera a parte. Da un lato, una liturgia, degli specialisti del sacro, degli asceti che si separano dal mondo, degli spazi consacrati, degli eventi miracolosi; dall’altro, le istituzioni del mondo laico e le leggi della natura e della società (il pronto soccorso, i carabinieri). Perciò il miracolo tende a essere circondato, in linea di massima, da un’aura di eccezionalità: a parte il luogo, riguarda comunque la vita, la morte, prove cruciali del ciclo dell’esistenza (che magari possono essere pure un esame universitario, che si supera grazie all’intervento speciale di San Giuseppe da Copertino). Nella tradizione protestante, specie nella sua forme più radicali, il sacro permea i quotidiano: l’ascesi non appartiene ai sacerdoti ma a tutti i fedeli, non si pratica in rituali ad hoc ma nel mondo di tutti i giorni. Se vogliamo, è l’altra faccia – quella ispirata, non quella repressiva – del fondamentalismo. Dio è davvero in ogni luogo, compresa la lavastoviglie e il serbatoio della benzina.
Soprattutto, si rovescia il rapporto fra leggi ordinarie del quotidiano e intervento del sacro. Noi tendiamo a immaginare che il mondo vada avanti per suo conto, con leggi naturali (“cause seconde”, magari messe in modo da un “motore immobile” cartesiano), e il miracolo è una sospensione temporanea e locale: se sei un “buon pastore”, i tuoi buoi cadono da grande altezza ma non si fanno niente; se sei un miscredente, ti casca un masso in testa e, inaspettatamente nel luogo acro, ti ammazza. Il miracolo avviene nel luogo sacro, come nel caso della bambina che ritrova la parola; o, come nella storia di fondazione del santuario di Vallepietra, il luogo è riconosciuto come sacro perché è avvenuto il miracolo (cioè, se c’è successo un miracolo vuol dire che era uno spazio speciale e lo segniamo erigendoci un santuario e indicendo un pellegrinaggio). Ricordo vicino Minturno l’apparizione presunta del viso di Gesù sul cancello di una casa: nell’arco di pochi giorni, il luogo divenne meta di pellegrinaggi, preghiere e adorazione.
Nessuno è andato a fare pellegrinaggi davanti al frigorifero di Delbert Jones o alla lavastoviglie di Nellie Leach. Nell’immaginario religioso popolare dell’America profonda, infatti, le cose stanno al contrario: il miracolo non è la rottura della quotidianità, ma la sua stessa essenza. In altre parole, per noi è un miracolo se ci si apre la terra sotto i piedi; per i fedeli di Harlan, il miracolo è che la terra non si apre. Perché se la natura avesse il suo corso, sprofonderemmo tutti e subito all’inferno per i nostri indicibili peccati, personali e originali; ed è solo il permanente intervento di Dio che impedisce che questo avvenga, o almeno lo rinvia. La nostra vita è come quando un giocoliere tiene per aria le palle sempre sul punto di cadere e sempre rilanciate; o come quando in chiesa prendi in mano il serpente e lo maneggi come prendendo in mano la vita e la permanente presenza della morte. Specie a Harlan, detta “la sanguinaria”:
Annie Napier (Cranks Creek, Harlan County, 16 ottobre 1996): Perché ogni volta che uno va in miniera, come entra lì dentro, lavora tutto il tempo con questa cosa – “Ehi, questo potrebbe essere il mio ultimo minuto.” E c’è chi fa quarant’anni e più così, ogni giorno, capisci? Se uno dura quindici, venti anni in miniera, è un miracolo. E poi muore di pneumoconiosi e non se ne accorge nemmeno.
E’ un miracolo letteralmente, non per modo di dire. La prima volta che andai a Vallepietra, incontrai un gruppo di operai della Snia di Rieti che qualche mese prima erano andati alla grande manifestazione metalmeccanica di Roma: era come se giocassero su due ruote distinte, quella laica della lotta e quella sacra della grazia. Per Harlan County, le due cose sono inseparabili. Dice Delbert Jones: “Se non fosse per il sindacato, non avremmo le medicine, non avremmo l’assistenza. Mia moglie aveva bisogno di una sedia a rotelle, non l’avremmo avuta. Certo, abbiamo anche il Signore, dalla nostra parte”. Anche un contratto è un miracolo, come una lavastoviglie riparata. Alla fine del film Harlan County, USA di Barbara Kopple (Oscar per il documentario, 1977), i minatori vittoriosi cantano “Amazing Grace”: “E’ stata la grazia che ci ha portati fin qui, e la grazia ci porterà a casa.”
- Che le dovrei dire – io proprio con esattezza non ne ho visto con questi occhi. Cioè un anno, saranno quattro cinque anni fa, cascò una pietra, e c’era una bancarella che vendeva dei ricordini, giù al santuario. Cascò questa pietra e purtroppo prese sopra a un masso della bancarella e uccise questa persona che vendeva questi santuari, che sarebbe praticamente uno di Vallepietra.
Portelli. Che successe?
. Eh, che successe, purtroppo si staccò questa pietra – adesso, sentir dire la gente, sembra che questo non era divoto a questo santuario.
Portelli. E quindi si fece male?
- E quindi si fece male, cioè no, si fece male – morì, addirittura.
Portelli. Perché non era devoto al santuario?
- A quello che ho potuto sentir dire io, ma proprio con esattezza non potrei spiegare perché io maggiormente, vede, non è che vengo qui e seguo proprio addirittura il santuario.
Quest’altro racconto viene invece da Wallins Creek, contea di Harlan, nella regione mineraria e molto povera del Kentucky Sudorientale, negli Stati Uniti. Il narratore, appartenente alla chiesa Holiness, si chiama Sill Leach, è un ex minatore, nato nel 1925; l’intervista è stata registrata il 25 agosto 1991. E’ presente anche la moglie, Nellie Leach:
Sill Leach. E la lavastoviglie s’è bloccata, e era una lavastoviglie quasi nuova. Allora lei va lì e dice, “Signore”, dice, “non ci possiamo permettere un’altra lavastoviglie. La lavastoviglie, guarda, tu ci devi aiutare e la devi aggiustare tu.” Così il Signore – lei si gira, e la macchina riparte, e non s’è più fermata, dopo che lei ci ha pregato sopra”
Portelli. Il Signore vi ha riparato la lavastoviglie.
Nellie Leach. Il Signore l’ha riparata, no?
Come mostra la mia domanda – un po’ maleducatamente irriverente nelle intenzioni, ma non percepita come tale dagli interlocutori – l’idea del Signore Iddio che dal cielo ripara la lavastoviglie può far venire da ridere. C’è proprio una sproporzione, ai nostri occhi, fa il divino e l’elettrodomestico. E infatti, se confrontiamo i due racconti ci accorgiamo che la differenza principale sta proprio nello spazio: domestico, quotidiano nel racconto americano protestante “fondamentalista”; eccezionale, consacrato, in quello italiano cattolico.
La storia del venditore ucciso dal masso a Vallepietra infatti può essere letta in almeno due modi. Da un lato, la possiamo pensare come punizione del peccatore che si permette di violare lo spazio sacro del Santuario, per di più per vendere la sua merce (mercante nel tempio? La dissacrazione, anche nell’episodio evangelico, forse non consiste solo nella mercificazione del luogo sacro, ma anche nell’incongruità di un’attività “ordinaria” in unno spazio “speciale). Però il narratore, un autista di autobus proveniente da Rieti, aggiunge che anche lui “non è che segu[e] proprio il santuario”: se fosse questo il significato, forse dovrebbe avere qualche timore anche per se stesso. E poi, forse l’immagine di una divinità punitiva e vendicativa non si accorda del tutto con la natura risanatrice del luogo.
Una seconda lettura, forse più complicata ma più suggestiva è quella per cui, in un luogo come Vallepietra – dove gli storpi gettano le stampelle e i muti parlano – le leggi naturali sono normalmente sospese. In un luogo dove (come dice la canzone che cantano i pellegrini) i buoi cascano da grande altezza sopra i sassi, e si rialzano e riprendono a camminare, ci si aspetterebbe che se ti casca un masso in testa non ti faccia niente. Il prodigio allora consiste nella sospensione mirata della prodigiosità del luogo: normalmente, qui non vigono le leggi normali della gravità e della natura; il miracolo consiste nel temporaneo ripristino della normalità.
Prendiamo altre due storie di miracoli. Ancora una volta, Vallepietra, il narratore è un pellegrino di Articoli Corrado:
Io me ce so’ incontrato, sei sette anni fa, che una bambina ha chiamato la mamma, era sordomuta, ha chiamato la prima volta la mamma giù al santuario. Stavo lì proprio e lì quando è successo ‘sto fatto, che la bambina ha chiamato la mamma proprio sotto al santuario, lì so’ stati commossi tutti perché c’era molta gente, poi ciànno tirato indietro, indietro, indietro, e hanno portato questa bambina al pronto soccorso e lì è stata assistita dai carabinieri.
E Closplint, ancora a Harlan County. Il narratore si chiama Delbert Jones, ex minatore, nato nel 1930, intervistato il 24.10.1988:
Mio figlio, aveva dieci anni, era il piccolo della famiglia, e è rimasto ucciso in un incidente di caccia. E avevamo un frigorifero – adesso non c’è più, è andato perduto nell’incendio, ma avevamo fatto delle fotografie. E quando hanno scattato una foto, hanno scattato la macchina fotografica, un giorno ci siamo messi a guardare le foto e dico, che è quella cosa sul frigorifero? Abbiamo guardato meglio, e era Johnny. C’è come una stella, un punto luminoso, sul frigorifero. Gli piacevano le fotografie, gli piaceva fare le foto, e quando hanno scattato quella lui c’è voluto stare dentro, ci doveva proprio stare, caro mio, e è comparso sul frigorifero. E’ stato un miracolo. Ce l’avevamo, la foto, non so che fine ha fatto. Ma mi sarebbe piaciuto fartela vedere.
L’apparizione sul frigorifero è altrettanto incongrua della sacra riparazione della lavastoviglie, ma un po’ più sconcertante dato che c’è di mezzo la morte e non la possiamo buttare a ridere. La foto miracolosa del ragazzo morto potrebbe essere un ex voto – solo che gli ex voto stanno nei santuari mentre questa immagine miracolosa sta in cucina, su un altro elettrodomestico, e nell’album di famiglia (dando per scontato che la foto esista davvero e non sia una proiezione di desiderio e rimpianto da parte dei genitori addolorati).
La differenza fra questo miracolo nel quotidiano, e la nostra concezione del rapporto fra miracolo e spazio sacro è confermata dall’altro racconto di Vallepietra. L’intera narrazione è dominata dalla deissi: il miracolo avviene “giù al santuario”, anzi “proprio sotto al santuario”, l’avverbio di luogo, “lì”, viene ripetuto tre volte; gli astanti sono invitati insistentemente a farsi “indietro”. Aggiungerei che c’è anche un dato di eccezionalità del tempo, uno strappo nel tempo ordinario: quando il miracolo si conclude e la bambina riprende la parola, il controllo viene restituito alle agenzie del tempo ordinario, il pronto soccorso e i carabinieri (non so se per proteggerla, o per sottoporla a verifica).
Prima di procedere a qualche considerazione interpretativa, vorrei aggiungere un altro racconto di Nellie Leach, che ribadisce la consuetudine con questi piccoli miracoli ordinari nella vita di tutti i giorni, questi microinterventi divini nel quotidiano.
Una volta era andata alla funzione, abitavamo a cinque miglia dalla chiesa e sono andata alla funzione e avevo un buco nel serbatoio della benzina. Usciva la benzina, piano piano. E quando sono ripartita per tornare a casa ho detto agli altri, “Pregate per me, per farmi arrivare a casa,” gli ho detto, “perché non so se mi basta o no la benzina per arrivare a casa.” Arrivo verso un terzo della strada fuori città e verso casa e la macchina comincia a rallentare, e io comincio a pregare, non avevo soldi, non avevo modo di tornare e fare benzina, era tutto chiuso, e cominciai a pregare e dissi, “Caro Signore, la macchina mi pianta qui in piena notte e io sto qui da sola, fammi arrivare almeno in paese, dove ci sono le luci, non ti chiedo di portarmi più in là.” E tenevo il piede fisso sull’acceleratore, non davo più gas, non lo lasciavo andare. E, e so che feci almeno quattro miglia e appena arrivata dentro il paese la macchina muore. Telefono a mio figlio, dico, “sto qui bloccata al ponte, ho finito la benzina”, dico, “fin qui ci sono arrivata con la preghiera.” E lui, “Mamma, che ti piglia?” Dice, “se Dio ti ha portato fin qui,” dice, “ti può portare pure fino a casa.” E io dico, “Be’, io non gli ho chiesto di portarmi a casa,” dico; “gli ho chiesto solo di portarmi dov’erano le luci. E Lui mi ci ha portato. Mi ha portato dov’erano le luci. Ti dico, ha risposto alle mie preghiere.”
La risposta del figlio è senz’altro irriverente, ma forse anche reverente nello stesso tempo. Infatti la sua risposta alla madre (“se Dio ti ha portato fino a qui, ti può portare pure fino a casa”) è una citazione letterale dal più amato e famoso dei canti religiosi americani, “Amazing Grace” (scritto dall’ex capitano negriero John Newfield, di Liverpool, nel 1700, amatissimo da tutti, bianchi e neri): “E’ stata la grazia di Dio che ci ha portato fin qui, e la grazia ci porterà fino a casa”. Il figlio di Nellie Leach si limita a citare la canzone prendendola sul serio, alla lettera – perché la letteralità è la base del discorso “fondamentalista” del sacro in generale. Ho chiesto a Dio di portarmi fino alle luce, e Lui mi ha portato lì e non un metro più in là. Noi prendiamo alla lettera la parola di Dio perché Dio prende alla lettera le nostre preghiere.
Aggiungerei un altro elemento: il diverso rapporto con la tecnologia. Al centro dei racconti di Harlan stanno lavastoviglie, frigorifero, automobile. La capacità protestante di individuare dimensioni simboliche in ogni oggetto ordinario fa sì che non abbia problemi con la modernità: negli spiritual, banchi e neri, la radio, il treno, persino il baseball diventano metafore del rapporto con Dio. Da noi, magari qualche ex voto ringrazia per essere scampati da un incidente automobilistico; ma l'ìggetto centrale è il corpo del fedele, non l'automobile. La macchina resta connotata in senso troppo laico, se non proprio profano, in un discorso che riguarda realtà essenziali e senza tempo, la vita e la morte.
Perciò, come diverso è il rapporto con lo spazio sacro, così è diverso il rapporto coi simboli. Dalle parti di Harlan County, prendono alla lettera Marco 16:15-20: “nel nome mio scacceranno i dèmoni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti…” E in tante chiese Holiness prendono materialmente in mano i serpenti a sonagli e i copperheads, e se vengono morsi non chiamano il dottore. Confrontiamo con il rituale dei serpenti a Cocullo, studiato da Alfonso Di Nola: lì, alle vipere vengono tolti preventivamente i denti del veleno. A Cocullo, il serpente è un simbolo; a Harlan, è un rischio e una prova tangibile. Così, quando “Amazing Grace” dice che la grazia ci porta a casa (e, nel racconto di Nellie Leach, fino alla luce!), lo intende certo in senso simbolico, spirituale; ma il punto è proprio che il simbolico non esclude il letterale, lo spirituale non esclude il mondano. Perché il mondano è intriso di presenza della spirito.
Qui sta infine il senso profondo di questa differenza culturale. La nostra tradizione relega il sacro in una sfera a parte. Da un lato, una liturgia, degli specialisti del sacro, degli asceti che si separano dal mondo, degli spazi consacrati, degli eventi miracolosi; dall’altro, le istituzioni del mondo laico e le leggi della natura e della società (il pronto soccorso, i carabinieri). Perciò il miracolo tende a essere circondato, in linea di massima, da un’aura di eccezionalità: a parte il luogo, riguarda comunque la vita, la morte, prove cruciali del ciclo dell’esistenza (che magari possono essere pure un esame universitario, che si supera grazie all’intervento speciale di San Giuseppe da Copertino). Nella tradizione protestante, specie nella sua forme più radicali, il sacro permea i quotidiano: l’ascesi non appartiene ai sacerdoti ma a tutti i fedeli, non si pratica in rituali ad hoc ma nel mondo di tutti i giorni. Se vogliamo, è l’altra faccia – quella ispirata, non quella repressiva – del fondamentalismo. Dio è davvero in ogni luogo, compresa la lavastoviglie e il serbatoio della benzina.
Soprattutto, si rovescia il rapporto fra leggi ordinarie del quotidiano e intervento del sacro. Noi tendiamo a immaginare che il mondo vada avanti per suo conto, con leggi naturali (“cause seconde”, magari messe in modo da un “motore immobile” cartesiano), e il miracolo è una sospensione temporanea e locale: se sei un “buon pastore”, i tuoi buoi cadono da grande altezza ma non si fanno niente; se sei un miscredente, ti casca un masso in testa e, inaspettatamente nel luogo acro, ti ammazza. Il miracolo avviene nel luogo sacro, come nel caso della bambina che ritrova la parola; o, come nella storia di fondazione del santuario di Vallepietra, il luogo è riconosciuto come sacro perché è avvenuto il miracolo (cioè, se c’è successo un miracolo vuol dire che era uno spazio speciale e lo segniamo erigendoci un santuario e indicendo un pellegrinaggio). Ricordo vicino Minturno l’apparizione presunta del viso di Gesù sul cancello di una casa: nell’arco di pochi giorni, il luogo divenne meta di pellegrinaggi, preghiere e adorazione.
Nessuno è andato a fare pellegrinaggi davanti al frigorifero di Delbert Jones o alla lavastoviglie di Nellie Leach. Nell’immaginario religioso popolare dell’America profonda, infatti, le cose stanno al contrario: il miracolo non è la rottura della quotidianità, ma la sua stessa essenza. In altre parole, per noi è un miracolo se ci si apre la terra sotto i piedi; per i fedeli di Harlan, il miracolo è che la terra non si apre. Perché se la natura avesse il suo corso, sprofonderemmo tutti e subito all’inferno per i nostri indicibili peccati, personali e originali; ed è solo il permanente intervento di Dio che impedisce che questo avvenga, o almeno lo rinvia. La nostra vita è come quando un giocoliere tiene per aria le palle sempre sul punto di cadere e sempre rilanciate; o come quando in chiesa prendi in mano il serpente e lo maneggi come prendendo in mano la vita e la permanente presenza della morte. Specie a Harlan, detta “la sanguinaria”:
Annie Napier (Cranks Creek, Harlan County, 16 ottobre 1996): Perché ogni volta che uno va in miniera, come entra lì dentro, lavora tutto il tempo con questa cosa – “Ehi, questo potrebbe essere il mio ultimo minuto.” E c’è chi fa quarant’anni e più così, ogni giorno, capisci? Se uno dura quindici, venti anni in miniera, è un miracolo. E poi muore di pneumoconiosi e non se ne accorge nemmeno.
E’ un miracolo letteralmente, non per modo di dire. La prima volta che andai a Vallepietra, incontrai un gruppo di operai della Snia di Rieti che qualche mese prima erano andati alla grande manifestazione metalmeccanica di Roma: era come se giocassero su due ruote distinte, quella laica della lotta e quella sacra della grazia. Per Harlan County, le due cose sono inseparabili. Dice Delbert Jones: “Se non fosse per il sindacato, non avremmo le medicine, non avremmo l’assistenza. Mia moglie aveva bisogno di una sedia a rotelle, non l’avremmo avuta. Certo, abbiamo anche il Signore, dalla nostra parte”. Anche un contratto è un miracolo, come una lavastoviglie riparata. Alla fine del film Harlan County, USA di Barbara Kopple (Oscar per il documentario, 1977), i minatori vittoriosi cantano “Amazing Grace”: “E’ stata la grazia che ci ha portati fin qui, e la grazia ci porterà a casa.”