Nella sua autobiografia,
Black Boy, Richard Wright ricorda la paura con cui cresceva un ragazzo nero nel Sud razzista degli Stati Uniti: ogni volta che succedeva qualche cosa, scrive, “non era un crimine commesso da un nero, ma
dai neri.” Tutti i neri erano colpevoli, qualunque nero andava punito, e la forma della punizione era il linciaggio.
Ai linciaggi ci siamo arrivati. Il delitto di Tor di Quinto non è stato commesso da un rumeno, ma
dai rumeni, e dieci cittadini italiani purosangue, con coltelli e bastoni, e incappucciati come il Ku Klux Klan, fanno giustizia a Tor Bella Monaca. Ed è inutile condannare queste cose a posteriori, bisogna pensarci prima alle conseguenze di certi discorsi. Ma è ben avviato sulla strada della punizione collettiva, a colpevoli e innocenti indiscriminatamente, anche lo sbaraccamento del campo di Tor di Quinto; è una punizione collettiva e preventiva il “trasferimento” dei rom oltre il raccordo anulare, spostare il problema un po’ più in là, come la polvere sotto il tappeto.
Perché è vero che il problema esiste, non nascondiamoci dietro un dito. L’associazione che gestisce un campo sportivo accanto al terreno di Tor di Quinto da anni denunciava furti continui, scriveva al sindaco e non riceveva risposta. La Romania (ma non era l’Albania, fino a qualche mese fa?) europea e democratica liberatasi dal comunismo non ci ha mandato soltanto il meglio di sé, come d’altronde l’Italia dell’emigrazione non ha mandato e non manda soltanto il meglio di sé in America o in Germania. Le migrazioni sono fiumi che si portano appresso anche un sacco di detriti, e non c’è diga che tenga. Ed è vero che la sicurezza è un requisito importante della vita civile, un diritto democratico: di che altro parlavano le donne che, almeno trent’anni fa, prima che ci fossero albanesi o rumeni a Roma, manifestavano con lo slogan “riprendiamoci la notte”?
Ha detto il segretario del Partito Democratico che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Giusto. Però sono di destra o di sinistra le definizioni che ne diamo, e le risposte che proponiamo. Tutte e tutti abbiamo il diritto di uscire da una stazione di sera senza avere paura; ma tutte e tutti abbiamo anche il diritto di non essere ammazzati in carcere a Perugia o a Ferrara, di manifestare senza finire torturati a Bolzaneto. Certo, per le persone ordinarie il rischio di strada è più immediato e concreto del rischio in carcere o in piazza; ma c’è uno scivolamento pericoloso, quando lo stato che chiamiamo a garantirci la sicurezza dai crimini dei marginali si considera al di sopra delle leggi e delle inchieste. Tanto che uno esita prima di dire che, in certi luoghi e in certi tempi, prima che i delitti avvengano, ci vorrebbe più polizia (polizia, dico: non vigilantes privati).
Io non so se sarebbe stato di destra o di sinistra illuminare meglio quella strada e quella stazione (quelle stazioni: io e la mia famiglia frequentavamo quella successiva, a Grottarossa, e avevamo paura di scendere la sera, anche se non c’erano ancora rumeni nei dintorni). Fra l’altro, sono convinto che l’abbandono è anche conseguenza (di destra o di sinistra?) della rinuncia a fare delle ferrovie urbane una seria alternativa al feticcio automobile, ma questa è anche un’altra storia. E non so se sarebbe di destra o di sinistra accorgersi prima che sia troppo tardi delle condizioni criminogene in cui vivono migliaia di nostri concittadini europei, e fare qualcosa per i diritti umani di quella maggioranza di loro che non è venuta qui per delinquere. Anche loro hanno diritto alla sicurezza. Dopo il linciaggio di Tor Bella Monaca, il ministro degli interni Amato dice, “è quello che temevo”; il prefetto di Roma Mosca dice, “era quello che temevamo.” Bene: che cosa avete fatto per prevenirlo?
E poi, ovviamente, la punizione ci vuole: personale e col dovuto processo di legge, non collettiva e vendicativa; ma ci vuole. Stavolta, anche grazie all’aiuto di una donna del campo, il colpevole è già in prigione e sconterà la giusta pena, con la dovuta certezza. Ma gridare al “pugno duro” è infantile e strumentale. Sappiamo benissimo, e se ne stanno accorgendo persino gli Stati Uniti, che nemmeno la pena di morte fa veramente da deterrente alla criminalità. Inseguire la destra sul piano della repressione è come la corsa di Achille e la tartaruga: loro stanno sempre un po’ più in là, un po’ oltre. Più parliamo il loro linguaggio, più facciamo propaganda alle loro idee, più gli prepariamo la rivincita. Se non vogliamo ritrovarci, come da più parti già si annuncia, con Fini sindaco di Roma, proviamo a fare nostre le sagge e preoccupate parole di Stefano Rodotà: “Serve davvero, con ‘necessità e urgenza’, un’altra forma di tolleranza zero. Quella contro chi parla di ‘bestie’ o invoca metodi nazisti. Non è questione di norme. Bisogna chiudere la ‘fabbrica della paura’. E’ il compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui è sempre più arduo ritrovare le tracce.”